Vai al contenuto

L’invasione in Ucraina un mese dopo: cos’è cambiato su armi, strategia russa e nucleare. L’analisi dell’esperto

Pubblicato: 26/03/2022 15:37

La guerra in Ucraina è entrata al secondo mese, cambiando completamente natura rispetto alle prime settimane dell’invasione russa. Il conflitto, dal Blitzkrieg programmato dal Cremlino, si è trasformato in guerra d’attrito contro l’imprevista resistenza ucraina, aprendo vari scenari per la sua evoluzione. Una guerra alle porte dell’Unione europea che ha già avuto un forte impatto sulla nostra società e che ha aperto varie spaccature nell’opinione pubblica, a cominciare dal ruolo che i Paesi europei, tra cui anche l’Italia, devono avere nei confronti del Paese invaso. Fornitura di armi, apertura verso l’integrazione dell’Ucraina e sviluppi sul campo: di questi aspetti parliamo con Stefano Ruzza, professore associato di Scienza Politica all’Università di Torino e co-fondatore di T.wai, istituto di ricerca di cui è head of research of Violence & Security Program.

Guerra Russia-Ucraina: a che punto siamo del conflitto

Professore Ruzza, siamo a un mese dall’inizio dell’invasione e la situazione sul campo sembra in stallo. Il piano di Putin è fallito?

Penso che, in realtà, la guerra sia partita sulla base di una serie di aspettative, che ovviamente aveva l’aggressore, e che sono state deluse, quindi la guerra è sostanzialmente mutata. La Russia è partita con un’idea di ottenere le cose in un certo modo e in un certo lasso di tempo, e questa cosa non si è verificata. Potrebbe essere utile affrontare quale fosse il punto di partenza iniziale e perché è fallito: la mia opinione è che, fondamentalmente, in origine Putin avesse in mente di condurre un conflitto breve. Pensava di avere di fronte, nella sua invasione all’Ucraina, una leadership politica che si sarebbe squagliata, convinzione che era anche supportata dal fatto che Kiev era stata infiltrata da una serie di operatori sotto copertura, o sotto plausible deniability almeno, a servizio del Cremlino, e che quindi potevano condurre operazioni nella capitale, anche se questa rete è stata poi ovviamente contenuta e praticamente smantellata.

Mosca contava anche sul fatto che le forze armate ucraine si sarebbero liquefatte di fronte al rullo compressore russo, che non sarebbero state capaci di resistere a un’avanzata schiacciante. Queste due cose non sono avvenute, in particolare la politica Ucraina è stata molto ferma, anche perché in questo c’è da dire che l’Occidente a sua volta è stato fermo e compatto. Non c’è stata la pluralità di posizioni che tante volte si è vista a fronte di una risposta all’atteggiamento russo: pensiamo a quello che è capitato all’Ucraina nel 2014, alla Georgia nel 2008. Quindi, la politica ucraina è rimasta salda, anche  in virtù di questo supporto che è stato tutto sommato coeso, e le forze armate ucraine hanno dimostrato di essere migliorate molto rispetto a dove si trovavano 8 anni fa, quando c’è stato il primo caso che ben conosciamo dell’annessione illegale della Crimea e poi l’avvio della guerra a bassa intensità nel Donbass.

Armate russe in difficoltà: quali sono i punti deboli di Putin

Oltre a questo, in realtà – continua il professor Ruzza – sono emerse una serie di lacune importanti  delle forze armate russe, che fino a ieri erano sostanzialmente invisibili, perché l’esercito russo non aveva più avuto una grande prova sul campo dai tempi della guerra in Afghanistan (del 1979, ndr). Si immaginava che ci fosse una grande capacità dietro il potenziale russo: grandi numeri, export di tecnologia militare, e invece alla prova dei fatti si è visto che le armate russe sono una tigre di carta. Apparentemente sono fortissime, ma poi con una serie di difetti strutturali che le rendono incapaci di spiegare tutto il loro potenziale sul campo. La ragione per cui la guerra parte dall’idea di essere un Blitzkrieg  e diventa poi in realtà una guerra di trincea, in cui si cerca di prendersi alla gola l’uno all’altro, è legato a questo, cioè al fatto che le forze armate russe sono gravemente deficitarie in una serie di comparti.

Partiamo dalle difficoltà dell’esercito russo. Abbiamo visto grandi difficoltà nell’avanzata in Ucraina, quali sono le cause di questa débâcle?

Sulle difficoltà delle forze armate russe, ci sono sicuramente alcuni aspetti che sono diventati immediatamente visibili, su cui c’era già un bagaglio di conoscenza pregressa e su cui quindi si potevano fare ipotesi fondate. Uno degli aspetti chiave, a mio avviso, riguarda quelli che sono i difetti della logistica militare russa, perché una forza militare va sostenuta nello spazio, dove si trova a fronte tendenzialmente di un avversario ostile, e nel tempo. Per fare questo è necessario che riceva munizioni, carburante, rimpiazzi di soldati, che abbia tutto questo tipo di supporto. La logistica russa è estremamente carente, qualcosa su cui i russi non hanno investito, ed è carente per diversi motivi. Il primo è che la loro logistica militare si appoggia sulla rotaia, sulla ferrovia, e questo è qualcosa che ovviamente gli ucraini sapevano bene, quindi quando i russi hanno attaccato hanno in qualche modo interrotto tutti i collegamenti ferroviari con la Russia, così da non consentire un facile rifornimento delle truppe. Questo ha spostato le modalità di rifornimento dalla rotaia al camion, alla gomma.

La cosa è diventata problematica per i russi perché le loro unità logistiche, e quindi le componenti che nelle loro forze armate devono preoccuparsi di rifornire chi combatte, sono gravemente sottodimensionate. Non dispongono di una quantità di camion sufficienti, per capirci, e hanno degli enormi problemi di manutenzione e anche di corruzione, potremmo dire. In Russia non si fa quello che per esempio le forze NATO sono state addestrate benissimo a fare, la manutenzione preventiva dei mezzi, in modo tale che quando vengono posti sotto stress, in condizioni di combattimento in un’area ostile, possano sopportarlo. Se, e qui ci colleghiamo all’altro punto fondamentale, c’è un certo livello di corruzione, magari invece di montare i pneumatici del tipo giusto, di tipo militare, si utilizzano pneumatici più economici di tipo civile. Ma questi si danneggiano più facilmente nelle condizioni di uso che sono tipiche di un conflitto, e ciò vuol dire un camion che non è in grado di spostare quello che deve spostare quando lo deve spostare.

Forze armate russe: gli scandali della corruzione e i finanziamenti privati

Questo tipo di difetti si collega a un aspetto anche del regime russo, che è un regime autoritario, e che quindi manca di trasparenza in una serie di processi. Uno di questi che riguarda le forze armate russe è la progressiva esternalizzazione della logistica, che è stata data anche in appalto a soggetti privati. Lo era già in parte, ma si sono cambiate le modalità con cui questo succedeva, e le quantità. Ci sono degli studi del Ministero della Difesa svedese su questo, per cui il processo di esternalizzazione che è stato avviato nel 2008 ha portato a un incremento dei costi a fronte di una riduzione della qualità del servizio. Le forze armate russe pagavano di più per avere un supporto trasversale, e quindi dalla manutenzione dei camion ai pasti in cucina, che però è più scadente.

Questo ha portato a degli scandali con conseguenze importanti: nel 2012 si è dimesso il ministro della Difesa russo Anatoli Serdiukov in conseguenza proprio allo scandalo Oboron Service, che era questa azienda ombrello che si doveva preoccupare di logistica statalizzata, ma poi il problema non è stato risolto in maniera puntuale. La questione, cioè l’incapacità di sostenere in modo continuo le forze armate nello spazio e nel tempo, significa che la Russia non è in grado di sviluppare uno sforzo coeso, e si nota guardando l’andamento sul territorio delle diverse colonne di avanzata russa. Ci si accorge che c’è molto scoordinamento: una parte avanza, una si ferma, un’altra va indietro, non sono mai riusciti a stringere l’anello contro Kiev… Si è formata quell’enorme colonna di 60 km, come ci ricordiamo, e quello è proprio la manifestazione più palese del fatto che mancano non solo la capacità di coordinamento delle forze armate, di comando e controllo, ma anche la capacità di rifornirle, e questo fa sì che non si collochino dove dovrebbero, e formino una colonna mostruosa che non soltanto non è in grado di condurre attacchi, ma potenzialmente diventa un grande bersaglio e annuncia le intenzioni dell’aggressore, eliminando quindi l’elemento sorpresa.

Diciamo quindi che l’esercito russo ha attaccato su tre fronti, penetrando immediatamente in profondità nel territorio ucraino, non sostenuti da una logistica in grado di supportare questo sforzo.

I fronti sono tre o quattro, dipende come li contiamo, ma se notiamo la manifestazione evidente, la prova provata di quello che sostengo, guardiamo anche alla diversa velocità di penetrazione e i diversi guadagni territoriali. Questi sono stati più marcati al Sud, a partire dalla Crimea, perché in quel caso, fra le altre cose, i russi hanno costruito un ponte ferroviario nel 2019 che collega la Crimea alla Russia, e quindi quello è stato un posto dove sono riusciti a mobilitare le loro risorse. Al contrario, estremo opposto è Kiev, dove hanno provato nelle primissime fasi dell’operazione a conquistare l’aeroporto di Hostomel e hanno fallito. Hanno provato con le truppe aviotrasportate, che si sono mostrate anche loro essere meno valide di quello che ci si aspettava, perché l’idea era che, a fronte dell’impossibilità di rifornire le truppe via ferrovia, ci fosse almeno un entry point per fare un ponte aereo. Questo ovviamente presupponeva conquistare l’aeroporto e guadagnare il controllo dello spazio aereo. Non sono riusciti a fare nessuna delle due cose. Allora ecco che, in un contesto in cui sono obbligati a ricorrere ai camion, il fronte che avanza meglio è l’unico che può ancora contare sulla ferrovia.

La risposta della resistenza ucraina

Dal lato ucraino, invece, si è vista un’inaspettata capacità di risposta. Quanto hanno influito gli aiuti dei Paesi alleati, in particolare gli Stati Uniti che, poco prima che scoppiasse il conflitto, hanno collaborato con le forze armate ucraine, anche in prospettiva di quella che sarebbe poi stata l’invasione?

Per quanto riguarda il miglioramento qualitativo delle forze ucraine, certamente c’è stato anche questo livello di partnership che hanno avuto con Paesi terzi e che sono variamente afferenti alla sfera di sicurezza Atlantica, quindi certamente i Paesi membri NATO. Il contributo che è stato dato negli anni che vanno dal 2014 a oggi è stato importante. Qui dobbiamo fare una puntualizzazione, altrimenti passa questa vulgata per cui la NATO minaccia la Russia. La NATO ha tre missioni fondamentali, che sono la difesa collettiva, la sicurezza cooperativa, e la risposta alle crisi. Ovviamente, la prima delle tre che ho citato è quella più importante di tutte, per cui nel trattato NATO c’è scritto che un attacco a uno equivale a un attacco a tutti. Però, oltre a fare questo, la NATO collabora con una serie di Paesi terzi per questioni che riguardano gli interessi di sicurezza condivisi.

Ci sono, ad esempio, forti collaborazioni che la NATO ha con Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, per gestire appunto le tematiche che sono legate all’immigrazione, alla criminalità organizzata, al terrorismo e che diventano un problema a cascata per i Paesi membri. Questa è la stessa cosa che ha fatto anche in parte dell’Europa orientale, e che ha portato i benefici di cui poi l’Ucraina ha potuto godere dal punto di vista militare in quella che è la crisi che si è verificata, ma senza che in questo fosse intrinseco un qualche tipo di minaccia nei confronti della Russia, ci mancherebbe altro. Tant’è che, ci tengo a sottolineare, che i Paesi membri NATO confinanti con la Russia sono Estonia, Lettonia e Lituania, e Mosca si è ben guardata dall’attaccarli, ma ha attacco invece un Paese che non è membro, e che forse se lo fosse stato non sarebbe stato invaso, perché evidentemente ci sarebbe stata una risposta militare ben diversa. 

Come evolverà l’invasione dell’Ucraina

A questo punto sono cambiati gli obiettivi della Russia a livello strategico?

Direi di sì. È chiaro che se le cose fossero andate come avrebbe voluto Putin, si poteva immaginare di abbattere il regime ucraino, sostituirlo con un regime amico e costruire di fatto un’Ucraina che assomigliasse a quella che è la Bielorussia di Lukashenko. Un regime che di fatto è uno Stato cliente della Russia, e che quindi si allinea a una serie di direttive che arrivano dal Cremlino. Questo progetto è sfumato, almeno se il conflitto resta all’interno della cornice corrente. Quella che io ritengo essere l’ambizione del Cremlino in questo momento assomiglia un pochino di più a quanto già capitato in passato con la guerra in Finlandia.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, ci sono stati due conflitti tra l’Unione Sovietica e la Finlandia, 1939-1940 e poi 1941-1944, che sono sostanzialmente la stessa guerra in due fasi. Fu l’Unione Sovietica ad attaccare la Finlandia, che oppose una resistenza strenua, e quindi nonostante l’Unione Sovietica fosse immensamente più potente della Finlandia, di fatto Helsinki riuscì a resistere e non diventò un nuovo oblast’ dell’URSS. Però, quello che successe è che la Finlandia perse alcune strisce di territorio a beneficio dell’Unione Sovietica, e quello potrebbe essere un obiettivo ancora conseguibile dal Cremlino in Ucraina. Oltre a questo, e molto più interessante termini di analogia tra il caso finlandese e quello che sta capitando adesso, lo Finlandia fu obbligata a cedere una concessione per una base militare sovietica sul suo territorio. Quindi quell’area fu sottratta alla sovranità dello Stato territoriale, un po’ com’era Guantanamo per Cuba, per capirci. Ritengo che tra gli obiettivi del Cremlino non ci sia soltanto ottenere una serie di territori che gli consentirebbero di cucire la Crimea alle parti secessioniste di Donetsk e Luhansk, ma anche eventualmente ottenere questo tipo di accordo che gli consentirebbe di aprire delle basi che sarebbero strategiche per la Russia, perché le permetterebbero di dominare lo spazio sul Mar Nero.

Alcuni osservatori prospettano uno scenario afghano per la guerra in Ucraina, nel senso che si va verso un conflitto di logoramento combattuto per procura che potrebbe andare avanti per mesi, anche anni. Cosa pensa di questo scenario?

Penso che sia plausibile. Nel senso che, dal momento che la guerra per gli ucraini è di resistenza e devono riuscire a difendere il loro territorio, per i russi è saltata l’ipotesi della guerra breve e si è aperta l’ipotesi della guerra lunga, andiamo in quella direzione lì. La durata resta da determinare, ovviamente, quello dipende dai livelli di attrito delle due forze, da quanto perdono e quanto riescono a rimpiazzare. Potrebbero essere anni, possono essere mesi, ma di sicuro non è una cosa che si risolve nelle prossime due settimane. Dal momento che ci muoviamo in questo scenario, diventano fondamentali per determinare sia la durata che gli esiti i livelli di attrito e gli effetti politici di questi. Da una parte, abbiamo un’Ucraina con un blocco occidentale che la sostiene e che fino a qui si è rivelato abbasta fermo, coeso e risoluto, ma in cui qualche crepa si inizia a vedere. Potrebbe darsi che, nel lungo periodo, inizino a diventare evidenti una serie di differenze che riguardano i costi da sostenere per continuare a supportare l’Ucraina. Non intendo solo quelli economici, che comunque ci sono, dato che come sappiamo dipendiamo fortemente dalla Russia per i rifornimenti energetici, ma si sta anche configurando una crisi dei rifugiati, ancora una volta uno strumento su cui peraltro le campagne di disinformazione russa orchestrare dalle troll factory del Cremlino hanno già marciato molto in passato, cercando di creare un rafforzamento dei partiti populisti in Europa e quindi un frastagliamento di quelle che erano le posizioni più europeiste a vantaggio di quelle posizione cosiddette sovraniste, meno attente all’integrazione europea. Questo è l’attrito che abbiamo da una parte, oltre all’attrito militare in senso stretto.

Su quest’ultimo, le forze ucraine sono più piccole di quelle russe e quindi quanto a lungo potranno rimpiazzare i loro uomini e quale sarà la qualità dei loro combattenti nel lungo periodo è un problema aperto. Dall’altra parte però, abbiamo una Russia che a sua volta patisce una serie di problemi di attrito non indifferenti, sia sul versante militare che sul versante politico-economico. Sul versante militare hanno un problema di quelle disfunzioni logistiche che ho sottolineato prima, che non saranno risolte domani. Quindi la Russia può essere un gigante, ma non sarà mai capace di spiegare tutta la sua forza, perché non è in grado di mobilitare in modo efficiente le proprie risorse. Ci sono poi le sanzioni che sono forse le più estensive che si siano mai viste nella storia recente, e che hanno un doppio impatto. In parte rende più difficile per la Russia rimpiazzare una serie di materiali militari su cui erano già piuttosto scadenti, per esempio il munizionamento di precisione, che difficilmente riusciranno a riprodurre in assenza di una serie di forniture che dipendono anche dall’estero. Oltre a questo l’economia russa è diventata molto scollegata dall’economia mondiale. E dal momento che era un’economia di esportazione di materie prime che dipendeva dall’estero, da cui poi importava tutta una serie di prodotti intermedi, questo obiettivamente può causare delle conseguenze notevoli. Senza contare poi gli effetti delle penurie patiti dalla popolazione più in generale. 

Putin, le possibilità di un regime change

In merito a questo, circola la previsione di un possibile regime change a Mosca. Alcuni ritengono credibile questa ipotesi per via delle sanzioni, altri ricordano invece situazione passate in cui abbiamo visto regimi che hanno retto in condizioni estreme. È dunque possibile, anche vedendo  i segnali che arrivano di uno sfaldamento della classe dirigente? Sempre partendo dal presupposto che al momento non sappiamo molto di quello che sta succedendo in Russia.

La premessa in parte è proprio lo scarso afflusso di informazioni da Mosca, e la possiamo integrare con il fatto che il regime in Russia è autoritario, quindi opaco per definizione. Gli scienziati politici patiscono peraltro questo problema fondamentale, per cui tendono o a fare previsioni sbagliate o a non prevedere cose che poi avvengono, ma questo è particolarmente vero per situazioni di questo genere qui. Le sanzioni possono da una parte avere un effetto rilegittimante per il Cremlino, nel momento in cui colpiscono gli strati popolari, che magari colgono queste sanzioni come effettivamente la guerra che l’Occidente sta facendo nei confronti della Russia in generale, e non nei confronti invece di una classe dirigente che si è ubriacata di ambizioni imperialistiche e che quindi è il problema. Di sicuro non lo è la cultura russa, il popolo russo, l’essere russofoni, ci mancherebbe. Però questo potrebbe essere un aspetto disfunzionale delle sanzioni, e quindi a un certo punto bisognerà ragionare su come renderle non molto impattati come sono, ma molto più efficaci. Dall’altro lato è sicuramente vero che queste azioni stanno mordendo su quello che è il cerchio stretto di persone attorno a Vladimir Putin, persone che hanno beneficiato di una serie di interscambi con l’esterno da cui di colpo non solo sono tagliati fuori, ma si trovano anche beni congelati, sotto sequestro. Una cosa difficile da valutare, perché riguarda eminentemente la politica interna russa, il nesso che intercorre tra gli oligarchi e la politica interna.

Sono stati uno strumento importante per consentire alla Russia di penetrare a livello internazionale, in Germania, in Italia, insomma a casa nostra più che negli Stati Uniti, però quanto gli oligarchi siano in qualche modo gli agenti del Cremlino all’estero, e quanto invece siano fondamentali per garantire un certo livello di supporto del consenso in Patria, questa è una questione su cui è difficile esprimersi. Francamente, per rispondere in modo più diretto, mi limito a osservare che i regimi autoritari hanno dei livelli di resilienza abbastanza elevati. La Russia ha sopportato sanzioni in passato, altri regimi sono stati messi sotto sanzioni e ne sono usciti più o meno indenni da quel punto di vista lì. Il Myanmar, ad esempio è stato sanzionato. Si può sanzionare chi si vuole, tendenzialmente le sanzioni di per sé non portano a un cambio di regime, e dunque questo scenario plausibile e possibile non lo vedo nell’immediato, non nel brevissimo periodo, perché le sanzioni da sole non lo provocano, e Putin è ancora nella posizione per fare quelle purghe, quei repulisti, che servono a evitargli la coltellata alla schiena. Se la guerra dovesse durare molto di più allora lì forse questa cosa può diventare più misurabile, non dico più possibile.

La posizione della NATO nel conflitto e la risposta europea

Tornando sul campo, la NATO ha deciso di aumentare lo schieramento di uomini nei Paesi alleati limitrofi all’Ucraina, e che si calcola circa di 10mila unità in più. Questo prelude a un maggiore coinvolgimento della NATO, a un’escalation? È una mossa diciamo “dovuta” in questo contesto?

Questa è, a mio avviso, una mossa di tipo preventivo, che serve a lanciare un segnale e a evitare un problema. Il segnale è che se la Russia prova ad allargare questo conflitto siamo pronti a rispondere, e quindi la NATO interviene, anche in modo unito e a norma di quello che è un trattato difensivo. Il messaggio per il Cremlino è di evitare di fare cadere missili dove non dovrebbe, o di spostare un po’ di truppe dentro la Polonia o in altri posti perché ci sarebbe una reazione. Allora, questo dispiegamento serve a lanciare un segnale chiaro, e cioè che il conflitto deve restare dov’è, non bisogna immaginare un cambio di scala, un allargamento. Ovviamente non siamo nella testa dell’avversario, si fanno ipotesi: tolto che la Russia un conflitto contro la NATO lo perde, però tanto più un regime si sente messo all’angolo tanto più potrebbe essere tentato di fare colpi di mano un po’ particolari. E l’idea di allargare il conflitto potrebbe generare una scappatoia per dire ‘abbiamo perso ma non contro l’Ucraina, abbiamo perso contro la NATO’. Ma qui si va di fantapolitica.

Il conflitto in Ucraina sta spostando l’asse dell’Unione Europea verso Est, dove Paesi con cui fino a ieri c’erano attriti che adesso hanno un peso diverso, ritenuti indispensabili per contenere l’aggressività russa. Questo è un cambiamento che secondo lei durerà nell’Unione Europea?

In questo momento c’è tutta una serie di questioni che avevamo nelle relazioni intra-europee e intra-atlantici che sono magicamente spariti. La NATO pativa di una serie di problemi, sicuramente c’è sempre stata l’annosa questione che gli europei hanno speso meno di quello che dovevano, e c’era stato un indebolimento del legame transatlantico durante l’amministrazione Trump. Gli stessi problemi li abbiamo avuti anche a livello di relazioni intra-europee: ascesa di partiti sovranisti, le mosse di Ungheria e Polonia su alcuni aspetti, tutti scontri che abbiamo seguito nel corso degli anni passati. Questi sono passati in secondo piano, perché evidentemente c’è una contingenza che lo impone. Quello che è difficile in questa fase prevedere, ma che sarà cruciale per il futuro, riguarda il mantenimento di una serie di obiettivi che si sono dichiarati adesso, e della volontà politica di conseguirli e della coesione politica per portarli avanti.

Allora questo vuol dire fare riforme importanti, e quando i nodi verranno al pettine bisogna vedere cosa succede. Se da un lato è immaginabile allargare la Ue, non c’è niente di male in questo, dall’altro è ovvio che l’Ue si è anche piuttosto inceppata nei suoi processi decisionali in virtù proprio dell’allargamento, anche per il fatto che si vota all’unanimità. O si introduce un criterio di maggioranza su una serie di questioni, oppure l’essere più inclusivi diventa poi anche sinonimo di essere meno efficaci, di riuscire a fare meno cose collettivamente. Però si è visto che a fronte di una crisi importante c’è la volontà, e non solo quella, ma anche la capacità di rinnovarsi. Se ci pensiamo, anche a fronte della crisi pandemica l’Unione Europea per la prima volta ha deciso di emettere quelli che sono dei titoli europei invece di affidarsi come si faceva di solito a quello che è l’indebitamento dei singoli Stati. Questa è stata una riforma importante, vediamo se ci sarà la capacità di continuare lungo questo solco, anche come eredità della crisi ucraina.

Per quello che riguarda la NATO, non credo che l’Ucraina diventerà un membro, ma quello non era vero neanche prima. Però credo sia legittimo aspettarsi che davvero aumenterà la spesa militare in Europa, che potrà portare l’altro effetto di una difesa militare europea più robusta, che potrebbe essere poi essenziale rispetto al rafforzamento dell’Unione. Certamente la situazione corrente porterà la NATO, nel dopoguerra, a essere più simile nella sua missione originale, cioè una struttura in primo luogo di difesa collettiva che si prepara militarmente per far sì che l’attacco al territorio di uno sia l’attacco al territorio di tutti. E tutta una serie di compiti sussidiari che l’Alleanza si è data, soprattutto dopo il crollo dell’Unione Sovietica, passeranno in secondo piano. Questo sarà un tipo di evoluzione, presumo, sgradita all’Italia, che invece ha molto premuto affinché la NATO diventasse un po’ lo strumento con cui si gestivano una serie di cose diverse dalla difesa collettiva, come la migrazione, la criminalità. È chiaro però che la contingenza ha dimostrato che la difesa collettiva è molto importante, e la NATO del futuro vedrà un ruolo più importante del fronte Est rispetto al fronte Sud nell’agenda dell’Alleanza. 

L’uso di armi chimiche da parte di Mosca

Ci sono delle testimonianze per cui in Ucraina vengono usate armi chimiche. È un sintomo del fatto che Putin, non riuscendo a raggiungere gli obiettivi velocemente, sente la pressione aumentare? Ci potrebbe essere dunque un ricorso più frequente a queste armi? 

Sicuramente dal piano della guerra lampo siamo passati a un altro tipo di guerra. Putin ha iniziato a impiegare anche strategie di attacco indiscriminato, che in parte sono quelle che gli riescono meglio perché non ha i mezzi per fare altro. Questo però aumenta i costi, aumenta la pressione sull’Ucraina, che deve affrontare tutta una serie di problematiche che riguardano anche la tutela dei civili e aumenta i costi per quella parte di comunità internazionale che è con l’Ucraina, perché vuol dire aiuti umanitari, gestione dei profughi e così via. Quindi l’essere indiscriminato ha una valenza militare per il Cremlino: si può ricorrere ad armi di tipo chimico, o biologico, che consentono un po’ di spin anche per una guerra di propaganda, cioè cercare sempre di dare la colpa all’avversario. È una cosa su cui audience diverse sono più o meno disposte a credere, ma questo è un tipo di prodotto informativo che si può vendere in patria, ad audience internazionali diverse da quelle Occidentali. Non ci siamo solo noi ad assistere a questo conflitto, ci sono africani, indiani e di che tipo di informazione ricevano nessuno ne parla mai.

Appena si esce dalla bolla occidentale c’è infatti una narrativa della guerra completamente diversa. Il 2 marzo la risoluzione ONU che ha condannato la Russia per l’invasione ha visto 4 contrari e 35 astenuti, un po’ meno della metà della popolazione mondiale. La prospettiva eurocentrica potrebbe influire su come poi si svilupperà il conflitto?

Che ci sia una parte di mondo che reagisce in modo più vivace a questa situazione penso sia un dato naturale. Immagino che i vicini di Etiopia ed Eritrea abbiano reagito in modo molto più marcato a quel conflitto lì di quanto abbiano reagito le persone in Europa. Però questa cosa un’influenza ce l’ha, perché appunto può diventare in qualche modo la porta di servizio tramite la quale la Russia recupera una serie di  contatti e mantiene una serie di flussi chiave, anche in funzione di quello che sarà poi il dopoguerra. Se dopo la guerra la Russia ottiene gli obiettivi che vuole ottenere (la posizione di una serie di territori, magari uno status particolare per l’Ucraina, magari la creazione di nuove entità politiche di mezzo o la concessioni delle basi) ci sarà un problema anche di reintegro della Russia all’interno di quella che è l’economia mondiale. Può darsi che un domani le relazioni con l’Occidente siano così deteriorate che lo renderebbero molto difficile. Ecco che allora avere un minimo di supporto da altre parti sicuramente aiuta a rialzare un pochino la cresta. 

La minaccia del nucleare

Parliamo di nucleare, uno degli argomenti che ha sollevato le maggiori preoccupazioni proprio in Occidente per alcune allusioni al loro uso da parte del regime di Mosca.

Il nucleare è una cosa che va smontata, perché un discorso è parlare di impiego di armi nucleari in Ucraina, un altro discorso è parlare della minaccia nucleare che la Russia può eventualmente ventilare disponendo di testate nucleari che le consentono di colpire su scala globale. La prima delle due opzioni ha un limitatissimo senso se parliamo di un modo di procedere di tipo terroristico, se inseriamo quell’ipotesi sulla falsariga di usare attacchi indiscriminati, con armi incendiarie e chimiche. È un conflitto che impiega anche l’aspetto psicologico di una serie di armi, che magari non sono più distruttive di altre. Un’arma termobarica può essere più potente di alcune armi nucleari, però è chiaro che dire ‘bomba atomica’ fa tutta un’altra impressione rispetto a dire ‘termobarica’. Quello potrebbe essere lo scenario, anche se quell’ipotesi la vedo ancora molto lontana e di nuovo deve fare i conti con alcuni problemi tecnici di non facile soluzione.

A differenza delle armi nucleari di tipo strategico, che hanno un livello di prontezza relativamente elevato, quelle di tipo substrategico e tattico sono potenzialmente smontate, perché non si sa dove le si va a usare, e bisogna trasportarle. Questo richiede un certo livello di coesione della catena di comando e non so fino a che punto le forze armate russe possano contarci. A vedere come stanno andando sul campo, emergono problemi di basso morale, ci sono comandi che fanno cose al posto di altri. Invece il nucleare strategico, francamente, secondo per me è qualcosa che viene un po’ tirato per la giacca quando viene coinvolto. In realtà anche il Cremlino ha detto che le armi nucleari sono fuori dal discorso, a meno che non si parli di una sopravvivenza della Russia. Credo che sia assolutamente logico che sia così, non vedo che tipo di beneficio si potrebbe ottenere da un impiego di armi nucleari. Anche se sicuramente è vero che si possono ottenere dei benefici da una minaccia di impiego delle armi nucleari, questo sì. Abbiamo visto mosse che sono da giocatori di poker abbastanza scadenti, come quella che è stata fatta all’inizio del conflitto di cambiare livello di allerta delle forze nucleari russe che non ha avuto nessun tipo di conseguenza sul campo, ma sicuramente ha fatto sì che in una serie di Paesi un pochino meno bene informati si iniziasse a dire che non bisogna opporsi alla Russia perché altrimenti attacca con le armi nucleari. È chiaro che è uno scenario impossibile. Però i russi, che hanno giocato molto su questa disinformazione per molti anni, sanno di che leva dispongono quando parlano di armi nucleari, e lo fanno anche in questi termini qui. 

L’invio di armi all’Ucraina

Un solco che si è creato all’interno dell’opinione pubblica italiana è la questione delle armi, che vede due schieramenti, principalmente. Semplificando, uno preme per mandare le armi perché gli ucraini hanno diritto a difendersi, dall’altro lato c’è chi dice che le armi non faranno altro che aumentare la lunghezza del conflitto, con conseguente aumento di vittime civili, quindi fondamentalmente è inutile inviarle perché stiamo rimandando l’inevitabile.

Tralascio il lato etico della risposta, e mi limito a quello fattuale, pratico, analitico. La seconda campana per me non regge per niente. Non è che la prima regga per ragioni morali, regge per ragioni fattuali, perché dire ‘non mandiamo armi perché se no il conflitto diventa più lungo e ci sono più perdite e aumentano i costi dell’inevitabile’ è una bestialità. È una roba logicamente falsa. Non è che le guerre hanno un esito che è tutto bianco o tutto nero, quindi o vinci tutto o perdi tutto. Come dicevamo prima, questa guerra è diventata una guerra di attrito, e quindi dipenderà alla fine quali saranno stati i guadagni le perdite relative per ciascuno dei due contendenti. Allora, un tipo di contesto dove magari la Russia vince meno, e cioè non fa dell’Ucraina uno Stato fantoccio modello Bielorussia, ma si prende qualche pezzettino di territorio e magari si fa una base navale, o magari non riesce neanche a farsi quello, fa una differenza abissale.

Magari non si riesce a ricacciare del tutto indietro la Russia, però un conto è se si mangia un pezzo di terra, un conto è se chiude proprio l’Ucraina dal mare, e un conto è se si prende tutto il Paese. Mandare armi serve esattamente a questo, serve a far sì che aumentando i costi per la Russia il tipo di vittoria che possono ottenere sia minore rispetto a quella massima cui ambiscono. Certo, questo aumenta la durata del conflitto, è inevitabile, però se domani la Russia vince a mani basse costi umani non ci sono? Non inizia tutta un’operazione di russificazione, di pulizia etnica? I regimi autoritari come operano si sa. Poi quali siano i costi umani accettabili o meno francamente lo deve decidere chi ha le scarpe lì. Se gli ucraini vogliono combattere perché preferiscono pagare il costo umano della loro vita, invece del costo umano dell’oppressione, avendo libero arbitrio sta a loro decidere se farlo. Mi sembra che da questo punto di vista gli ucraini abbiano detto in modo molto chiaro cosa preferiscono.

Ultimo Aggiornamento: 27/03/2022 09:14