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“Forse sto morendo ma…”: neuroscienziato elabora una teoria rivoluzionaria prima di morire

Pubblicato: 27/04/2022 13:39

Un neuroscienziato americano ha scoperto di avere un cancro terminale. Non avendo alcun sintomo di malattia evidente, ha deciso di continuare a lavorare, scrivendo e facendo ricerca. Pur non essendo un uomo di fede, lungo il suo cammino di preparazione alla morte, ha ritrovato un fascino particolare per le storie che riguardano l’Aldilà e la reincarnazione. In un articolo ha deciso di raccontare i risultati delle sue riflessioni.

La scoperta del cancro

David J. Linden è un neuroscienziato statunitense nato il 3 novembre 1961 a Santa Monica, in California. Oltre a essere un ricercatore e un insegnante, si occupa di divulgazione scientifica pubblicando libri, partecipando a programmi radiofonici e scrivendo su giornali di settore. Recentemente, proprio sul magazine The Atlantic, ha scritto un articolo per raccontare la sua storia. 

Dopo alcuni esami di routine, il medico gli aveva trovato una grande massa vicino al cuore. Dapprima si pensa sia un’ernia, poi un tumore benigno chiamato teratoma. Il cardiologo decide di operarlo per rimuovere la massa ma, una volta fatto l’intervento, Linden scopre che in realtà si tratta di qualcosa di molto più grave.

Il referto parla di un cancro maligno chiamato sarcoma sinoviale che, a causa della sua posizione, non è stato possibile rimuovere completamente. Le parole dell’oncologo comunicano a Davidi un’aspettativa di vita tra i 6 e i 18 mesi. L’ottimismo e la gratitudine che hanno sempre caratterizzato il neuroscienziato lasciano il posto alla frustrazione e alla rabbia. 

La preparazione alla morte di un neuroscienziato

Nell’articolo, il neuroscienziato scrive: “Forse sto morendo, ma sono ancora un secchione della scienza, quindi penso a ciò che mi ha insegnato la preparazione alla morte sulla mente umana.” La prima riflessione che lo riguarda, abbatte uno dei concetti chiave delle neuroscienze: “Occupiamo uno stato mentale alla volta”. Niente di più falso ammette.

Ciò che sta vivendo in questo momento, in prima persona, dimostra quanto sia possibile e persino facile vivere più stati mentali, anche contraddittori, allo stesso tempo. Egli infatti sottolinea: “Sono allo stesso tempo furioso per il mio cancro terminale e profondamente grato per tutto ciò che la vita mi ha dato.”

A questa riflessione se ne aggiunge dunque un’altra: “La verità profonda dell’essere umano è che non esiste un’esperienza oggettiva.” E ancora una volta la riprova di questa intuizione è da ricercare nella sua esperienza personale: “Se qualcuno mi avesse detto un anno fa, quando avevo 59 anni, che mi restavano 5 anni da vivere, sarei stato devastato e mi sarei sentito ingannato dal destino. Ora la prospettiva di altri 5 anni mi sembra un regalo impossibile.”

Perché in tutte le religioni si parla di Aldilà o reincarnazione?

L’ultima intuizione, la più sottile, riguarda l’incapacità di immaginare la totalità della morte. Secondo David J. Linden questo non è un limite o un fallimento personale, piuttosto: “È un semplice risultato di avere un cervello umano.” 

Il nostro cervello infatti, spiega il docente, non si limita a reagire al mondo esterno. Trascorre gran parte del suo tempo e della sua energia facendo attivamente previsioni sul futuro, principalmente su quello più prossimo. Si tratta di previsioni continue, radicate, automatiche e subconsce che riguardano gli attimi successivi al presente.

Il neuroscienziato giunge dunque alla conclusione che: “I nostri cervelli sono organizzati per predire il prossimo futuro, presupponendo che ci sarà.” Per questo motivo non riusciamo a cogliere la totalità della morte ed è per questo stesso motivo che – forse – in tutte le culture umane sono state elaborate storie e miti che riguardano l’esperienza post morte.

Da non credente ma da scienziato dalla curiosità inesauribile, Linden ritiene dunque che le idee di Aldilà o di reincarnazione derivino da questo ‘difetto’ biologico. “I nostri cervelli sono costruiti sulla premessa errata che ci sarà sempre quel momento successivo da prevedere. Non possiamo fare a meno di immaginare che la nostra coscienza resista.”

Se questo sia un ‘bug’ o una speciale caratteristica della cognizione umana, conclude, poco importa. Perché del resto avere la capacità di immaginare un dopo è una consolazione preziosa ed irrinunciabile per chi, come lui, si sta preparando alla morte.