Ilir Shehi Zyba, il nome che ora risuona tristemente a Noriglio, è stato condannato a 12 anni di carcere per l’omicidio volontario della 63enne Mara Fait, un’infermiera in pensione. La sentenza è stata emessa nella giornata di ieri, mercoledì 24 luglio, dopo un processo con rito abbreviato che ha escluso le aggravanti dei futili motivi. Il giudice ha motivato la sua decisione prendendo in considerazione il lungo trascorso di cause legali e personali tra l’omicida e la vittima. Un rapporto tormentato, caratterizzato da continui litigi, che ha avuto il suo tragico epilogo a fine luglio del 2023.
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Il tragico epilogo
Secondo la ricostruzione dei fatti, la tensione tra i due è culminata in una violenza inaudita: Zyba, in un momento di follia, ha colpito la povera Mara Fait con un’accetta, l’arma che utilizzava abitualmente per tagliare la legna. Due colpi netti e letali hanno posto fine alla vita della donna. Dopo aver compiuto l’atto atroce, Zyba ha gettato l’arma del delitto lungo la strada e si è diretto verso la caserma dei carabinieri di Rovereto, dove si è costituito, ammettendo subito le sue colpe.
La notizia della condanna ha lasciato la comunità di Noriglio sotto shock. Mara Fait era conosciuta e benvoluta da tutti, una donna che aveva dedicato la sua vita ad aiutare gli altri come infermiera. Il suo brutale omicidio ha lasciato un vuoto incolmabile tra i familiari, gli amici e tutti coloro che l’hanno conosciuta. Questo tragico evento solleva molte riflessioni sulle dinamiche delle liti tra vicini e sulla gestione dei conflitti. La domanda che molti si pongono è se questa tragedia potesse essere evitata, se ci fossero stati interventi più tempestivi per risolvere le controversie prima che degenerassero in violenza.
Indignazione per la sentenza
La storia di Mara Fait e Ilir Shehi Zyba rimarrà a lungo nella memoria collettiva come un monito sui pericoli della violenza latente nelle relazioni umane. Inoltre, il riconoscimento delle attenuanti generiche all’assassino ha suscitato profonda indignazione.