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L’endorsement di Trump a Meloni agita il Quirinale: Mattarella irritato, i retroscena

Pubblicato: 18/04/2025 14:45

Non è stata una semplice dichiarazione. Le parole di Donald Trump, scandite con enfasi direttamente dallo Studio Ovale, sono risuonate come un annuncio ufficiale: “L’Italia può essere il miglior alleato degli Stati Uniti se Meloni resta premier“. Nessun giro di parole, nessun generico attestato di stima: un vero e proprio endorsement, pieno, diretto, politicamente pesante.

A Washington, la stampa americana ha letto la sortita come un segnale di continuità transatlantica. Ma a Roma ha avuto un effetto ben diverso: quello di una scossa istituzionale, che ha attraversato anche le stanze più riservate del Quirinale.

Il Quirinale irritato, ma prudente

Nessuna reazione ufficiale, com’è prassi quando si tratta di dichiarazioni straniere. Ma più di un sopracciglio si è alzato nei corridoi del Colle. Fonti ben informate, citate dal Giornale d’Italia, riferiscono di un’irritazione palpabile. La frase dell’ex presidente americano è stata interpretata come una forma irrituale di ingerenza, specie per il tempismo con cui è arrivata: nel pieno di una legislatura agitata da tensioni interne alla maggioranza, malumori nella Lega e preoccupazioni crescenti da Bruxelles.

È in questo contesto, segnato da scenari alternativi che si rincorrono nei palazzi romani – elezioni anticipate nella prima metà del 2026 o soluzioni “di sistema” ispirate al Colle – che la dichiarazione trumpiana ha fatto sobbalzare le istituzioni. Come se l’America avesse deciso di mettere il cappello sulla guida politica italiana, blindando Meloni in un momento complesso.

Il precedente del “Giuseppi” e l’ombra del Deep State

Non sarebbe la prima volta che Trump gioca la carta dell’endorsement. Accadde anche con Giuseppe Conte, ribattezzato affettuosamente “Giuseppi”, quando serviva un segnale di continuità in piena crisi politica. E poco dopo, nacque il governo Conte II.

Oggi, il parallelo è scomodo ma evidente. E in controluce si intravedono le stesse logiche: puntellare un esecutivo con qualche difficoltà interna, respingere scenari alternativi – come quelli che, sempre più insistentemente, citano i nomi di Crosetto o Giorgetti – e, soprattutto, mandare un messaggio chiaro al Quirinale: nessun cambio a Palazzo Chigi senza il placet americano.

Il rischio della sovraesposizione internazionale

Nell’entourage della Premier, la dichiarazione di Trump non è arrivata a sorpresa. Anzi, era attesa e costruita, proprio come il celebre “bacio” di Biden, pianificato dal team della premier come gesto simbolico e mediatico.
Ma la strategia ha i suoi rischi.

Perché se da un lato la premier ne esce rafforzata sul piano internazionale, dall’altro si espone a critiche pesanti: non solo da parte dell’opposizione, ma anche da chi, nel centrodestra, teme una deriva personalistica e una eccessiva concentrazione di potere attorno a Meloni e a Fratelli d’Italia.

Il Colle osserva, ma non tace

Il Quirinale, come da stile, non entra nel dibattito politico diretto. Ma non resta nemmeno a guardare. La convinzione che trapela dai suoi ambienti più discreti è netta: la stabilità della Repubblica è affare italiano, non può essere definita da Washington – né da Trump, né da Elon Musk, che sempre più spesso si insinua nel dibattito europeo a colpi di tweet e algoritmi.

Il dossier Meloni, a questo punto, è ufficialmente aperto. E se davvero ci sarà un braccio di ferro tra istituzioni italiane e potenze straniere sul destino del governo, sarà una partita a scacchi delicatissima. Il Quirinale, in silenzio, sta già muovendo i suoi pezzi.

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Ultimo Aggiornamento: 18/04/2025 20:01

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