
Il voto amministrativo inglese si è trasformato infatti in un evento epocale, capace di riscrivere le coordinate della politica britannica. Il partito Reform UK, guidato da Nigel Farage ha trionfato, riuscendo a intaccare le roccaforti laburiste e travolgendo i conservatori. Un risultato i cui principali responsabili, secondo l’analisi di molti, sono proprio i partiti tradizionali e i loro leader.
Ciò che sta accadendo nel Regno Unito è più di un’oscillazione elettorale: è il segnale di un malessere radicato, diffuso, che si esprime sempre più chiaramente nei crescenti consensi che l’elettorato garantisce alle forze populiste e sovraniste in tutta Europa. E anche queste due parole, anziché essere utilizzate come un insulto, dovrebbero essere analizzate bene: perché dai popoli si alza un grido di protesta che affonda le radici in problemi concreti.
Il risultato che cambia il gioco
L’elezione suppletiva a Runcorn, in cui la candidata di Reform ha ribaltato un risultato considerato blindato per il Labour, è un momento storico. Non tanto per i sei voti di scarto che hanno permesso questo risultato, quanto per il valore simbolico: nel luglio scorso, i laburisti avevano vinto con un margine del 53%. Il ribaltamento è clamoroso, e segna un cambio repentino come raramente se ne vedono in politica,
Ma il colpo ancora più grosso arriva dal tradizionalista Lincolnshire, dove Reform conquista il 42% dei voti e prende il controllo della regione, relegando i conservatori al 26%. E anche nei territori dove i laburisti resistono, il partito di Farage è lì, a un soffio. Tutto questo, in attesa del quadro completo, già promette di dipingere una nuova era politica.

I motivi di un’ascesa travolgente
Il successo dei sovranisti britannici non è un fulmine a ciel sereno, né un accidente della storia. È piuttosto il risultato di anni di frustrazione sociale, sradicamento culturale, insicurezza economica. A partire dalla crisi finanziaria del 2008, milioni di cittadini si sono sentiti progressivamente tagliati fuori da una narrazione politica che non li rappresentava più.
In questo scenario, la Brexit fu solo il primo grido, incerto e parziale. Ma da allora, la questione migratoria è tornata in cima alle preoccupazioni dei cittadini, perché la situazione in Inghilterra non viene quasi mai raccontata, ma è drammatica. Facile dunque per Farage cavalcare la protesta crescente che media e partiti hanno silenziato troppo a lungo.
L’elettorato è stanco di chiacchiere e chiede soluzioni, Farage lo ha capito e ha proposto le sue. Che sono le uniche, ed è questo che fa impressione. Sembra che i partiti tradizionali se ne siano dimenticati: i problemi della gente non possono essere ignorati per sempre. Il trionfo dei sovranisti di Farage ha origine proprio nella mancanza di risposte di chi ha trattato il grido popolare come un fastidio da nascondere sotto il tappeto. Ora la storia comincia a presentare il conto.
Quando l’alternativa diventa sistema
Il dato politicamente più rilevante non è solo la crescita di Reform, ma il fatto che l’intero sistema bipartitico britannico sembri vacillare. Come accadde nel primo dopoguerra, quando i laburisti sostituirono i liberali nel ruolo di opposizione ai conservatori, oggi è Farage a candidarsi come nuovo perno dell’alternativa.

Il sistema elettorale uninominale, certo, deforma la rappresentanza: nel 2024 il Labour ha ottenuto la maggioranza assoluta con appena il 34% dei voti. Ma l’irruzione di Reform, insieme ai buoni risultati di Verdi e liberaldemocratici, frammenta ulteriormente il quadro. E rende le prossime elezioni generali, previste fra quattro anni, un potenziale momento di svolta.
Una sfida che riguarda tutta Europa
Quanto accade in Inghilterra si inserisce in una tendenza continentale: in Francia, in Germania, nei Paesi Bassi e in parte in Italia, le forze sovraniste continuano a guadagnare terreno. E non basta liquidare questa tendenza come una semplice espressione di rabbia o di protesta. C’è un vuoto di rappresentanza, un bisogno di riconoscimento popolare, un desiderio di riforma radicale delle istituzioni che molti elettori, specie nelle fasce più deboli, dopo essere stati abbandonati affidano a chi si offre di rappresentarli.
Farage primo ministro non è più fantapolitica, scrivono i giornali inglesi. L’urgenza di un cambiamento reale sta bussando alle porte della politica. Non c’è stato equilibrio nella costruzione di un’Europa che ha chiesto ai popoli di rinunciare a parte della loro autonomia, della loro sovranità e del proprio potere di rappresentanza per offrire, dopo anni di propaganda, l’immagine di un gigante intriso di burocrazia, lento, debole e lontanissimo dai popoli.
Con in più la sgradevole sensazione che, insieme alla perdita di rappresentanza popolare, sia iniziato anche un pericoloso indebolimento del concetto stesso di democrazia. Nessuno sa se le soluzioni saranno migliori del male, ma chi ha causato tutto questo deve cominciare a fare mea culpa. Altrimenti questa tendenza diventerà inarrestabile.