
Dopo le polemiche scoppiate intorno al Cnel e alla decisione del presidente Renato Brunetta di alzare gli stipendi oltre la soglia dei 240 mila euro, il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo interviene con una misura volta a bloccare qualsiasi nuova corsa ai rialzi. La risposta del governo arriva in un momento di forte tensione tra istituzioni e opinione pubblica, dopo che la Corte costituzionale ha cancellato il tetto ai salari dei dirigenti pubblici introdotto anni fa come misura emergenziale.
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La circolare di Zangrillo per fermare gli aumenti
Secondo quanto anticipato dal Sole 24 Ore, il ministro Zangrillo sta per emanare una circolare che inviterà le amministrazioni pubbliche a “soprassedere” su qualsiasi adeguamento retributivo, almeno fino a quando non saranno stabiliti nuovi criteri con un Dpcm previsto per gennaio. L’obiettivo è quello di impedire che la sentenza della Consulta venga interpretata come un “liberi tutti” per gli stipendi della pubblica amministrazione.
Nel documento, il principio guida sarà quello di legare le retribuzioni al merito, alla produttività e alle responsabilità, evitando così aumenti automatici e generalizzati. Si tratta di una misura temporanea, ma politicamente significativa, che punta a ristabilire un equilibrio tra giustizia retributiva e sostenibilità della spesa pubblica.

Chi potrà superare il tetto dei 240 mila euro
La circolare non avrà effetto retroattivo su tutti i dirigenti. Solo dodici alti funzionari potranno, in base alla decisione della Corte, vedere ripristinati stipendi superiori ai 300 mila euro. Tra questi figurano figure apicali come i presidenti della Corte di Cassazione, della Corte dei Conti, del Consiglio di Stato, il capo della Polizia e il direttore generale della Giustizia tributaria.
Per tutti gli altri, invece, scatterà lo stop temporaneo. La linea del governo è chiara: evitare che la pronuncia costituzionale diventi il pretesto per una generalizzata revisione al rialzo delle buste paga pubbliche.
Gli enti esclusi e il caso Brunetta
Restano esclusi dalla circolare gli enti dotati di autonomia costituzionale, come lo stesso Cnel, e le autorità indipendenti — tra cui la Banca d’Italia — che possono determinare in autonomia i propri trattamenti economici. Proprio su questi organismi si è acceso il dibattito politico. Il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia, commentando la vicenda, ha invitato il governo a «non lasciare che certi enti vivano in un paradiso intoccabile», denunciando trattamenti economici ingiustificatamente elevati.
Il caso di Renato Brunetta resta emblematico. L’aumento degli stipendi al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ha riaperto la discussione sul ruolo e sui costi delle strutture pubbliche più autonome. Una scelta che, pur formalmente legittima, ha suscitato critiche bipartisan per la mancanza di sensibilità politica in un periodo di difficoltà economica diffusa.

Il piano del governo: retribuzioni legate al merito
Il ministro Paolo Zangrillo, intervenuto di recente in televisione, ha confermato che «non ci saranno aumenti nell’immediato». Ha aggiunto che il governo, insieme al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, sta lavorando a una proposta che eviti un «indiscriminato appiattimento verso l’alto delle retribuzioni» e che, al contrario, colleghi i compensi «al merito e alle responsabilità».
L’intenzione è quella di introdurre un sistema di valutazione più equo e trasparente, in cui il riconoscimento economico non sia frutto di automatismi, ma del reale contributo alla macchina amministrativa. Un principio già previsto da tempo nelle riforme della pubblica amministrazione, ma che fatica a trovare applicazione concreta.
Una questione di equità e di fiducia pubblica
La vicenda mette in luce un nodo cruciale: la credibilità del settore pubblico e la necessità di mantenere un equilibrio tra competenze, merito e sostenibilità. L’aumento degli stipendi dei vertici, in un momento di pressione economica per cittadini e imprese, rischia di alimentare la sfiducia verso le istituzioni.
Con la circolare di Zangrillo, il governo tenta di contenere l’effetto domino che la sentenza della Consulta potrebbe innescare, riaffermando il principio secondo cui la retribuzione deve essere proporzionata alla responsabilità e non al rango.
In attesa del nuovo Dpcm di gennaio, la partita resta aperta. Ma una cosa è certa: dopo il caso Brunetta, l’esecutivo non intende lasciare spazio a interpretazioni che possano trasformare la legittima autonomia amministrativa in un pretesto per un nuovo privilegio di casta.


