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Odio o non odio? Questo è il problema!

Pubblicato: 11/09/2020 10:36



Ripetere un concetto lo fa diventare vero.
Adesso parliamo di Type Token Ratio. Prima vi dico che cos’è, poi vi spiego in che modo sta funzionando proprio ora mentre leggete queste righe e infine vi mostrerò una soluzione scientifica a una serie di problemi con i quali ci dobbiamo confrontare, ahimè, quotidianamente.

Le parole orientano i comportamenti

Il type token ratio è l’indice che esprime la frequenza con la quale una parola viene ripetuta in un dato contesto. Al liceo, i professori, quando ripetevi troppo spesso una parola, ti segnavano il compito in rosso. Dovrebbero farlo anche oggi, per permetterci di respirare aria un po’ più pulita, perché il problema del Type Token Ratio (TTR per gli amici) è che le parole ripetute con una certa frequenza si sedimentano nel cervello di chi le ascolta o legge e ne orientano poi i comportamenti. Come se io dovessi iniziare a scrivere la parola “pidocchi” ogni due righe: pensate ai pidocchi. Anzi no: non pensate ai pidocchi. Avete presente i pidocchi? E se avete prurito da qualche parte, ricordatevi dei pidocchi. Anzi no, non pensate ai pidocchi. E se piove? Potrebbe essere una questione di pidocchi. Letto? Che ve ne pare? Qualche prurito da qualche parte? Ora, passiamo ai fatti di questi giorni. 

L’odio è di destra o di sinistra?

Le vicende di cronaca le conosciamo tutti: il clima politico è teso e quando succede un fatto di cronaca scatta inevitabile la corsa allo sciacallaggio. Il tal delitto è colpa della destra, il tal misfatto è invece colpa della sinistra, in una lotta senza fine che lascia davvero il tempo che trova. Visto il progressivo surriscaldamento degli animi, mi voglio cimentare in un esercizio d’intelligenza linguistica, auspicando vivamente che tutti coloro che sentono l’urgenza di dir la loro sul tema “odio” possano leggere queste righe e far qualche sana riflessione.

Dai politici agli influencer, dai cantanti agli attori, il tema che fa trend è questo, perciò val la pena dedicarci, per l’appunto, due parole. 

Querelle Gassman – Sgarbi

In questa gara in cui perdono tutti, inizierei da Alessandro Gassman, prestigioso attore che, citando il titolo del suo ultimo film (“Non odiare”) continua a proclamare la necessità di “non odiare”, con tanto di slogan su mascherina. Lo stesso Gassman di così nobili principi, però, se ne esce con un tweet in cui esorta chi lo legge a mandare affanculo Sgarbi. Per precisione, pone ai suoi followers la domanda “A quale distanza devi stare per mandarlo affanc**o?”, dimentico forse del fatto che alcune domande hanno potere performativo, ovvero producono risultati molto concreti in chi le ascolta. Per uno che tweetta duemila volte al giorno la necessità di evitare il linguaggio dell’odio soprattutto sui social è certamente un fatto curioso, non c’è che dire. 

Matteo Salvini aggredito a Colleferro

Una impiegata del comune di Colleferro, esperta di politiche sociali di accoglienza, forse volendo verificare di persona quale sia la distanza richiesta di cui si interroga Gassman, assale Salvini strappandogli camicia e rosario e urlandogli “Io ti maledico”. Quindi, una tizia di sinistra impegnata nel sociale che odia uno di destra e tenta di denudarlo in mezzo alla strada. Anche questo, un fatto curioso. Certo, Salvini se lo merita perché è un violento, dice Gabriele Muccino, regista noto più che per i suoi film per i maltrattamenti fisici alla sua ex moglie, che picchiava regolarmente.

Chiara Ferragni e la cultura fascista

Piuttosto curioso anche il tweet della regina delle influencer, Chiara Ferragni, che per stigmatizzare il delitto del povero Willy ad opera di quattro truzzi delinquenti se ne esce con “La colpa è di questo paese di merda e della cultura fascista”. Ignorando forse il fatto che nella “cultura” dei quattro criminali ci sono anche like al movimento 5 stelle, al movimento LGTB, a Conte e, ciliegina sulla torta, la musica del marito della Ferragni medesima. Ops.

Odio: ce n’è per tutti

Del resto, è storia vecchia: ci sono i personaggi di destra che berciano contro gli extracomunitari e ci sono i sempre verdi personaggi di sinistra che offendono personaggi di destra per il loro aspetto fisico, vedi il “nano” Berlusconi (autori vari), il “nano” Brunetta (autori vari) o la “grassa” Meloni (cit. Asia Argento), che odia talmente tanto chi incita all’odio che il suo odio per chi odia diventa un odio forse ancora più grande dell’odio di cui parlano le persone che lei odia e allora per sconfiggere chi odia, odia. O qualcosa del genere, è facile perdersi nel gioco del chi odia chi e del “odio o non odio, questo è il problema!”

Dobbiamo cambiare le parole

La verità è che di questo passo non se ne esce. La parola “odio”, fra i suoi significati disponibili, ha “risoluta ostilità” e “desiderio di nuocere a qualcuno”. Questa parola ripetuta così spesso, non fa altro che attivare il nostro sistema attivante reticolare, che vedrà pericoli ovunque e che aumenterà di conseguenza i nostri livelli di paura e di aggressività. È chimica: se ho in corpo neurotrasmettitori e ormoni iper stressogeni, sarò più incline a reazioni violente.

Più parli di odio e più lo evochi

Odio chiama odio, dunque. Più ne parli, anche per stigmatizzarlo, più lo fomenti. Più lo evochi, più lui appare, con tutte le idee che si porta appresso. Dobbiamo avere il coraggio di parlare di altro.

Di dire la verità, di raccontare quel che succede, ma con parole diverse. Se io scrivo che quattro ragazzi a causa della loro cultura fascista hanno ucciso un ragazzo di colore per questioni razziste, inasprisco le divisioni già esistenti nel nostro tessuto sociale e favorisco un rinnovato spirito di belligeranza.

Il potere delle parole

Se io scrivo che quattro criminali ignoranti hanno ucciso un ragazzo colpevole solo di un atto di coraggio, unisco tutte le parti politiche e sociali in un comune grido di dolore e nel comune desiderio di rendere il mondo un posto migliore.

Rileggete le due frasi e ditemi che effetto vi fa. Se noi, cioè, togliessimo le etichette ai fatti, avremmo più fatti e decisamente meno conflitti. È il potere delle parole. Per quanto a qualcuno questo discorso potrebbe sembrare troppo bello per essere vero, è esattamente così che funziona.

Se io attribuisco la colpa di un evento delittuoso alla cultura fascista (al di là della impossibilità di determinare la vera causa di un atto del genere), creo un’ondata di odio in chi si proclama antifascista e fomento nuovi scontri. Se io attribuisco la colpa a una società che si cura poco dei suoi figli e li lascia troppo spesso davanti a videogames o programmi televisivi mediocri, creo un flusso di riflessioni che porta in tutt’altra direzione. Anche in questo caso, vi invito a rileggere le frasi di cui sopra e a sentire che effetto vi fa. 

Le parolo sono il modo in cui definiamo il mondo

Le nostre parole, dunque, diventano la nostra realtà. Io, a parità di delitto, posso vederci un atto fascista, un atto di odio razziale, un atto di ignoranza bovina, un atto di richiamo alla responsabilità civile, un atto che palesa le carenze genitoriali ed educative di determinate categorie di persone e così via.
Tante realtà diverse, tutte potenzialmente plausibili, che generano tante conseguenze diverse.
Potremmo tutti iniziare da qui, dal togliere le etichette che appiccichiamo ai fatti, limitandoci, appunto, ai fatti. E potremmo inserire nel contesto parole nuove.

Perché se io scrivo mille volte pidocchi, voi vi grattate. Se io scrivo mille volte odio, voi vi incazzate. Se io scrivo mille volte amore, rispetto e unione, voi… insomma, avete capito. Vero?

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2022 11:01