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Funivia Stresa-Mottarone, il gestore dell’impianto Nerini sul risarcimento alle famiglie: “Prima cosa che farò”

Pubblicato: 31/05/2021 15:09

Luigi Nerini, gestore dell’impianto della funivia Stresa-Mottarone teatro della strage del 23 maggio scorso, costata la vita a 14 persone, parla dopo la scarcerazione e si dice pronto a risarcire le famiglie che hanno perso i propri cari nel disastro. Insieme a lui restano indagati, nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla Procura di Verbania, il direttore del servizio Enrico Perocchio (tornato in libertà nello stesso momento) e il caposervizio Gabriele Tadini, l’unico per cui è stata disposta la misura dei domiciliari. Quest’ultimo, davanti al gip, avrebbe ammesso di aver disattivato i freni – con l’uso del “forchettone” – 10 volte nel giro di 15 giorni.

Funivia Stresa-Mottarone: le parole di Nerini dopo la scarcerazione

Al termine dell’udienza in cui il gip Donatella Banci Buonamici ha deciso di non convalidare il fermo per Luigi Nerini e Enrico Perocchio nell’ambito dell’inchiesta sul caso Stresa-Mottarone (14 vittime e un solo sopravvissuto), il primo ha dichiarato di essere pronto al risarcimento per le famiglie: “È la prima cosa che farò“.

Al suo avvocato, l’uomo avrebbe manifestato la volontà di “incontrare i familiari delle vittime, vedere le tombe di quelle persone“, sostenendo anche di non aver mai risparmiato sulla manutenzione e la sicurezza dell’impianto.

Come sottolineato dal procuratore di Verbania, Olimpia Bossi, il giudice ha ritenuto che a carico di Nerini e Perocchio non vi fossero “indizi di colpevolezza sufficienti”, e non sarebbe stata ritenuta integralmente credibile la versione resa da Tadini.

Funivia Stresa-Mottarone: freni disattivati 10 volte in 15 giorni

Un importante bagaglio di interrogativi e attenzioni da parte degli inquirenti è riservato al mancato funzionamento del sistema frenante quel 23 maggio. In sede di interrogatorio, riporta TgCom24, il caposervizio dell’impianto Gabriele Tadini avrebbe ammesso di aver inserito il “forchettone” (il blocco che impedisce al freno di emergenza di entrare in azione) 10 volte in 15 giorni (dall’8 maggio fino al momento del dramma).

Uno scenario davanti al quale gli altri 2 indagati si sarebbero detti totalmente ignari ed estranei. Il caposervizio, attualmente agli arresti domiciliari, avrebbe agito – secondo quanto si legge in un passaggio dell’ordinanza di custodia riportato dall’Ansa – con una “condotta scellerata in totale spregio della vita umana“. Stando alla testimonianza di un collega, l’indagato avrebbe dichiarato che “prima che si rompa una traente (un cavo, ndr) ce ne vuole“.