
La condanna a morte di Pakhshan Azizi, attivista curda e operatrice umanitaria, rappresenta un nuovo drammatico capitolo nella sistematica repressione del regime iraniano. Arrestata il 4 agosto 2023 a Teheran insieme ai familiari, Azizi è stata sottoposta a mesi di isolamento nel carcere di Evin e poi trasferita nel reparto femminile. La Corte suprema della Repubblica islamica ha confermato la sua condanna alla pena capitale, accusandola di appartenere a gruppi armati, nonostante il suo avvocato, Amir Raeisiian, abbia ribadito l’assenza di prove e denunciato un processo viziato da torture e pressioni.
Il ruolo di Azizi nella difesa dei diritti umani
Azizi, conosciuta per il suo impegno nei campi profughi di Sinjar e per la difesa dei diritti delle donne, è diventata simbolo della resistenza civile, alimentando l’indignazione sia dentro che fuori dall’Iran. La sua storia si intreccia con quella di altre vittime di un regime che, come sottolineato da Mahmood Amiry-Moghaddam di Iran Human Rights, utilizza l’impiccagione come strumento per reprimere il dissenso e terrorizzare la popolazione.
Il picco delle esecuzioni in Iran
Negli ultimi mesi, le esecuzioni hanno raggiunto un picco allarmante: 901 esecuzioni nel 2024, con un aumento significativo delle donne giustiziate. Nei primi giorni del 2025, già 40 persone sono state impiccate, fra cui Behrouz Ehsani e Mehdi Hassani, accusati di ribellione armata e “corruzione sulla Terra”. Gli attivisti denunciano che queste condanne mirano a soffocare il ricordo delle proteste del 2022, scoppiate dopo la morte di Mahsa Jina Amini, e a prevenire nuove manifestazioni.
L’influenza della comunità internazionale
L’attenzione internazionale ha dimostrato di poter fare la differenza: il caso del rapper Toomaj Salehi, liberato dopo una mobilitazione globale, offre un barlume di speranza. Tuttavia, come evidenziato da molte organizzazioni per i diritti umani, è necessario un impegno costante e deciso per aumentare il costo politico di queste atrocità per il regime iraniano, costringendolo a rispondere delle sue azioni.
La lettera di Sepideh Qolian: un grido di resistenza
La lettera di Sepideh Qolian, prigioniera politica nel carcere di Evin, che accompagna il volto sorridente di Pakhshan Azizi con la notizia della sua condanna, ci ricorda il potere delle voci oppresse:
«Temono queste donne perché sanno che le voci che sorgono da un secolo di oppressione hanno un’eco nelle strade. Sanno che Donna, Vita, Libertà non è solo uno slogan che passa di mano in mano, di voce in voce».
È un invito a non abbassare la guardia e a mantenere viva la speranza di cambiamento.