
Città del Vaticano – C’è un conclave visibile, quello che inizierà ufficialmente il 7 maggio con la clausura dei cardinali elettori nella Cappella Sistina. E poi ce n’è un altro, invisibile, che si muove da settimane nei corridoi dei Palazzi Apostolici, tra pranzi riservati, lettere cifrate e telefonate oltre confine. Un conclave fatto di pressioni sottili, promesse appena accennate e nomi sussurrati con la cautela di chi sa che in Vaticano, spesso, chi parte papa non torna cardinale: scompare proprio.
Nessuno lo dice apertamente, ma tutti lo sanno: la morte di Francesco ha aperto un vuoto politico, teologico e mediatico che la Curia si sta affrettando a riempire. Il clima, più che spirituale, è elettorale. Con strategie precise, alleanze temporanee e candidati che si muovono come in una campagna senza slogan, ma con molti messaggi in codice.
Tre anime, una sfida
Le grandi manovre per il dopo-Francesco si stanno giocando su tre piani. Il primo è quello istituzionale, guidato dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato uscente, uomo di Curia, pontefice “logico” per molti. Parolin è stimato, abituato alla diplomazia, rassicurante verso le cancellerie europee. Ma proprio questa immagine di continuità potrebbe penalizzarlo tra gli elettori che temono un ritorno all’equilibrismo curiale post-Benedetto.
Il secondo fronte è quello progressista e globale, che punta sul cardinale Luis Antonio Tagle, filippino, ex prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, molto vicino alla sensibilità bergogliana. Empatico, popolare nelle Americhe e in Asia, ma visto con sospetto da parte dell’episcopato africano, che teme una deriva troppo “dolce” nel momento in cui la Chiesa, in alcune aree, è chiamata a resistere culturalmente all’islam e al materialismo.
L’uomo che non divide
Il terzo fronte è il più difficile da decifrare: l’area dei riformisti prudenti, cardinali che non vogliono rompere con Francesco ma neppure replicarlo. Qui si muove in silenzio un nome che piace a molti senza dividere nessuno: quello del francese Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia. È l’uomo della sintesi: europeo ma aperto al Mediterraneo, teologo ma pastore, apprezzato dai gesuiti ma distante dal cerchio magico argentino.
Aveline non ha bisogno di esporsi: il suo profilo cresce proprio perché non urta, non spaventa, non polarizza. Nei conciliaboli romani, dove tutto passa da sguardi e silenzi, è spesso citato come esempio di equilibrio. Non ha una corrente, ma raccoglie consensi trasversali. Il suo punto di forza è la discrezione.
Un nome pontificale che pesa
Secondo alcune fonti, Aveline avrebbe già scelto il nome pontificale: Giovanni XXIV. Non è un dettaglio: scegliere di richiamare Papa Roncalli vuol dire posizionarsi nel solco di una Chiesa pastorale, conciliare, ma con dignità storica. Un gesto che ha colpito molti elettori, specie tra i cardinali latinoamericani.
Il nome scelto in anticipo è anche un segnale di forza: mostra convinzione, strategia, e la volontà di indicare subito una direzione. È raro che un candidato lo faccia prima del conclave. Aveline, raccontano, non lo ha annunciato: lo ha lasciato filtrare.
L’incognita africana
Non va però sottovalutata la suggestione di un Papa africano. Il nome di Peter Turkson, ghanese, torna nei colloqui riservati. È un profilo autorevole, già protagonista della diplomazia vaticana su clima e giustizia sociale. Ma la sua stagione romana è stata segnata da tensioni con il vertice della Segreteria di Stato. Alcuni temono che un suo papato sarebbe più simbolico che operativo.
Altri nomi emergono e scompaiono, com’è normale: il canadese Lacroix, lo spagnolo Osoro Sierra, il brasiliano Tempesta. Ma il cuore del gioco, oggi, sembra altrove. Verso chi non grida, ma avanza in silenzio.
Il favorito che non si proclama tale
Aveline non è ancora il nome su cui c’è un consenso maggioritario, ma è quello che cresce. Ogni giorno che passa senza uno scivolone, un’opposizione netta o una spaccatura, aumenta le sue possibilità. In Vaticano, dove l’elezione è anche una questione di resistenza morale, il profilo basso è un segno di forza.
Chi sarà il nuovo Papa lo sapremo solo quando la fumata bianca salirà. Ma se c’è un nome che, oggi, non fa paura a nessuno e parla a molti, è proprio quello di Jean-Marc Aveline.