
Bergamo vive giorni di dolore. La morte di Riccardo Claris, 26 anni, ha colpito nel profondo un’intera comunità. Il giovane tifoso è stato ucciso a coltellate nei pressi dello stadio, in mezzo a una lite esplosa tra supporter di Atalanta e Inter. Una serata di calcio si è trasformata in tragedia.
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L’aggressione è avvenuta mentre Riccardo tornava a casa. Non aveva cercato lo scontro. È stato colpito a caso, alle spalle, secondo la ricostruzione della famiglia. Un ragazzo qualunque, finito nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Lo sfogo della sorella Barbara

Barbara Claris ha scritto una lettera aperta. Ha scelto la carta, le maiuscole, le sottolineature. Di usare le parole come colpi secchi, diretti. Ha scritto: “Riccardo non ha alzato le mani contro nessuno. È stato colpito a caso, alle spalle, mentre tornava a casa”. Ha pubblicato il messaggio sui social, lo ha diffuso con rabbia e dolore.
“Siamo tutti sconvolti”, scrive. “Riccardo era un bravissimo ragazzo, chi lo conosce lo sa. NON era un violento. NON si meritava questo”. Il grido è forte. “NIENTE giustifica l’omicidio”. Una frase ripetuta più volte, come un mantra, come un punto fermo in mezzo al caos.
Nella sua lettera, Barbara non chiede vendetta. Chiede rispetto, silenzio. Chiede che la giustizia segua il suo corso. “Senza violenza, mediaticità. Senza interferenze”. Vuole ricordare il fratello con affetto, non come un simbolo da usare. “Ucciso da una società malata”, scrive, “che ha perso il rispetto per la vita”.
“Mai riuscirò ad accettare che si possa essere uccisi così”, conclude. Il suo sfogo racconta una famiglia distrutta, una ferita aperta, una città che chiede risposte. Riccardo non tornerà. Ma le sue parole restano. E chiedono giustizia.