
La guerra in Ucraina entra nel suo quarto inverno con un paradosso evidente: mentre l’Occidente discute di scenari futuri, ricostruzione e garanzie di sicurezza, la Russia accelera le operazioni militari. L’urgenza di Vladimir Putin non è solo operativa ma soprattutto geopolitica. L’obiettivo principale è impedire che l’Ucraina prosegua verso l’integrazione europea, un percorso che per il Cremlino rappresenta una sconfitta irreversibile.
Pur non essendo paragonabile, dal punto di vista militare, a un ingresso nella Nato, l’adesione all’Unione europea sancirebbe la sottrazione definitiva di Kiev alla sfera di influenza russa. Per questo, prolungare il conflitto diventa un mezzo per ostacolare quel processo, ritardare decisioni politiche europee e logorare la resistenza ucraina fino a indebolire le fondamenta dello Stato.
Perché l’Ue è un punto di non ritorno per la Russia
Per il Cremlino, un’Ucraina integrata con l’Europa significherebbe la perdita del controllo economico, politico e culturale su un Paese considerato storicamente parte dello spazio post-sovietico. L’adesione all’Ue comporterebbe il radicarsi di istituzioni, regole e standard occidentali, e soprattutto la fine della dipendenza energetica da Mosca.
Le origini della crisi del 2022 affondano proprio nel 2013, quando la Russia convinse l’allora presidente Viktor Yanukovych a non firmare l’accordo di associazione con l’Ue. Quel passo scatenò Euromaidan e mise in moto il processo che avrebbe spinto definitivamente l’Ucraina verso l’Occidente. Oggi, un cessate il fuoco che facilitasse l’ingresso di Kiev nell’Unione europea rappresenterebbe per Putin una sconfitta politica totale.
Pokrovsk e il Donbass: la geografia del logoramento
L’analista britannico Jack Watling, del Royal United Services Institute, individua in Pokrovsk un punto chiave per comprendere lo sviluppo della guerra. Questa città del Donbass, sconosciuta ai più, è diventata un nodo strategico. Mosca prevedeva di conquistarla già nel 2024; è in ritardo di un anno, ma ora è vicina all’obiettivo.
Sul campo la situazione è durissima. I russi avanzano tra palazzi sventrati, droni che tagliano le linee di rifornimento e un inverno che trasforma le città in trincee di macerie. Le forze ucraine difendono casa per casa, infliggendo perdite altissime: secondo le stime più accreditate, oltre ventimila soldati russi al mese. Nonostante ciò, la pressione russa cresce, lentamente ma in modo costante.
Pokrovsk è un simbolo. A nord e a sud, le linee ucraine cedono in diversi punti; si formano sacche, e la Russia è vicina a Kostyantynivka. L’impiego massiccio di bombe plananti e droni guidati a filo ha l’obiettivo di svuotare i centri abitati, come già fatto a Kherson, esponendo nuove città nel raggio d’azione, da Kramatorsk al cuore industriale di Zaporizhzhia. Se il Donbass dovesse crollare, Kharkiv diventerebbe il prossimo obiettivo logico.
Il mito occidentale del “negoziato” e la sua lettura russa
Nei Paesi europei la parola “negoziato” è diventata una sorta di chiave psicologica. Come ha osservato anche Federico Rampini sul Corriere della Sera, fa leva sulla stanchezza dell’opinione pubblica, sulla difficoltà di seguire un conflitto complesso e sulla volontà di trovare un’uscita. Ma per Mosca, negoziare significa qualcos’altro.
Il Cremlino vede nei colloqui una finestra per guadagnare tempo, consolidare i risultati militari, logorare la resistenza ucraina e approfittare delle divisioni occidentali. Kiev, pur non avendo chiuso la porta al dialogo, si scontra con le pretese massimaliste russe, che prevedono la rinuncia ucraina a territori e sovranità.
Finché la Russia rimane convinta di poter ottenere di più sul campo che al tavolo, un cessate il fuoco rischia di tradursi in una sconfitta imposta.
Il piano strategico di Putin per soggiogare l’Ucraina
Nell’analisi di Watling, il progetto russo si articola in tre fasi. La prima mira a occupare o devastare abbastanza territorio da rendere il resto dell’Ucraina economicamente dipendente da Mosca. Ciò avverrebbe mantenendo il controllo dei quattro oblast già annessi e conquistando Kharkiv, Mykolaiv e Odessa, in modo da tagliare Kiev dal Mar Nero.
La seconda fase consisterebbe nella ricerca di un cessate il fuoco utile a consolidare i vantaggi ottenuti, sfruttando poi leva economica e guerra politica per esercitare un controllo crescente sulle scelte ucraine. Nella terza fase, l’Ucraina sarebbe reintegrata nella sfera russa in modo simile alla Bielorussia, con un’autonomia formale e una dipendenza sostanziale. È un metodo già visto nella storia europea: mutilazione territoriale, asfissia economica e graduale trasformazione in uno Stato vassallo.
I limiti della macchina militare russa
Nonostante i successi territoriali, la Russia mostra limiti strutturali. Il sistema di reclutamento si è retto finora sui volontari attratti da ricompense economiche. Nel 2024 sono stati richiamati circa 420 mila uomini, e oltre 300 mila nel 2025, ma la disponibilità di volontari non è infinita. Le cifre sono già in calo e le autorità stanno introducendo metodi più coercitivi.
Anche l’economia russa non è immune da tensioni. La dipendenza dagli introiti petroliferi rende il bilancio vulnerabile al calo dei prezzi. Nel 2025 il ribasso del greggio e gli attacchi ucraini alle raffinerie hanno già mostrato i primi effetti.
Un ulteriore punto debole è la cosiddetta “flotta ombra”, una rete di petroliere vetuste che trasportano il petrolio russo eludendo le sanzioni. L’Occidente, finora timido nel bloccarla, potrebbe colpire il cuore del finanziamento bellico limitando il transito di queste navi. Una misura concertata, soprattutto nello Stretto di Danimarca, intaccherebbe profondamente la capacità russa di sostenere il conflitto.
L’Ucraina tra attacchi profondi e il problema dell’addestramento
Kiev sta cercando di aumentare l’efficacia degli attacchi profondi, accumulando missili di produzione nazionale in grado di colpire infrastrutture energetiche e logistiche russe. Tuttavia, la difesa aerea di Mosca resta molto efficace e la percentuale di intercettazione dei droni è altissima.
Il problema principale per l’Ucraina non è tanto la carenza di uomini, quanto la difficoltà a trasformarli in unità combattenti efficienti. L’addestramento all’estero ha mostrato limiti evidenti, soprattutto per la scarsa integrazione con i comandi e l’equipaggiamento reale.
In Europa si discute ora di un passaggio a un addestramento “in teatro”, cioè direttamente in territorio ucraino. Questa soluzione comporta rischi per gli istruttori, ma aumenterebbe la coesione delle unità e la qualità delle operazioni sul campo.
L’inverno e la strategia del logoramento della popolazione
La Russia entra nel quarto inverno con una capacità di produzione missilistica aumentata e con una strategia chiara: colpire infrastrutture energetiche, provocare blackout, mettere sotto pressione la popolazione civile e svuotare le città del fronte.
La rete elettrica ucraina è già gravemente danneggiata e incapace di garantire una fornitura continua. Anche Kiev affronta ore di blackout quotidiani. La combinazione di freddo, scarsità di energia e bombardamenti ha un obiettivo preciso: fiaccare la resistenza interna e accelerare la resa.
Cosa può davvero fermare la Russia
Nulla di tutto questo è inevitabile. Se l’Ucraina riuscirà a mantenere le linee difensive per un altro anno, e se nello stesso periodo l’Occidente trasformerà le sanzioni da strumento simbolico a pressione economica reale, allora la Russia potrebbe trovarsi di fronte a una traiettoria insostenibile.
Il cessate il fuoco arriverà non quando l’Occidente sarà stanco, ma quando Mosca avrà la certezza che i costi del conflitto superano i benefici. Fino a quel momento, il compito degli alleati è duplice: fornire all’Ucraina gli strumenti per continuare a combattere e mostrare a Putin, con fatti concreti, che il tempo non è più dalla sua parte.


