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Il governo Draghi taglia l’Iva sulla vendita di armi: boom di guadagni per l’industria bellica con la guerra in Ucraina

Pubblicato: 09/05/2022 23:45

È un momento d’oro per l’industria delle armi, che in Italia vede crollare un ulteriore impedimento ad affari sempre in crescita, soprattutto da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina. Ad “aiutare” il comparto degli armamenti non è questa volta un’invasione, ma lo stesso governo Draghi, che vara il taglio dell’Iva e delle accise sulle armi per la vendita a Paesi Ue impegnati in azioni di difesa. Un regalo inarrivabile, se pensiamo che nessun bene di prima necessità ha l’Iva azzerata, ma al massimo ridotta. Il decreto accoglie una direttiva europea, che si inserisce nel quadro di costruzione di una difesa comune e che allo stesso tempo pompa la produzione di armi nel Vecchio Continente. L’Italia, naturalmente, è in prima fila per capitalizzare sulla svolta militare forzata dall’invasione dell’Ucraina.

Zero Iva sulle armi: il decreto del governo Draghi che aiuta la vendita di armamenti

La Commissione Finanze del Senato ha dato parere “non ostativo” al testo che toglie l’Iva sulle armi. A favore del provvedimento si sono espressi PD, Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, si è invece astenuto il Movimento 5 Stelle, in rotta con la maggioranza proprio sulla guerra in Ucraina, e ha votato contro il rappresentante di Alternativa Elio Lannutti.

L’attuazione della direttiva europea del 2019 prevede “esenzioni relative all’IVA e alle accise” che sarebbero “applicabili esclusivamente alle situazioni in cui le forze armate di uno Stato membro svolgono compiti direttamente connessi a uno sforzo di difesa nel quadro della Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) al di fuori dello Stato membro a cui appartengono“.

Nello “sforzo di difesa” rientrano “missioni e operazioni militari, attività dei gruppi tattici, assistenza reciproca, progetti afferenti alla cooperazione strutturata permanente“. Non solo armi, l’Iva viene limitata anche sulle forniture militari che riguardano la mensa e altri beni “all’uso di tali forze o del personale civile che le accompagna“.

Movimento 5 Stelle chiede delucidazioni: “Dal governo nessun chiarimento”

Il testo è passato non senza scossoni all’interno della maggioranza, tanto che il parere è stato corretto da “positivo” a “non ostativo”. Il Movimento 5 Stelle ha motivato così la decisione di astenersi: “Siamo e saremo favorevoli alla costruzione di una difesa comune europea. Riteniamo però inconcepibile un’esenzione Iva sulla compravendita di armi, per giunta all’esito di un provvedimento non sufficientemente approfondito e in assenza di tutti i chiarimenti che avevamo richiesto“.

Nella nota si legge che “Abbiamo chiesto delucidazioni sulle finalità del provvedimento, sull’esistenza di un legame con un piano di spesa per la difesa comune europea, su eventuali elenchi di armi e attività a cui si dovrebbe riferire l’agevolazione, sui rischi di mancato gettito per le casse dello Stato. Su nessuno di questi punti è arrivato il benché minimo chiarimento da parte del relatore e del governo“.

Iva sulle armi, il governo italiano continua a guadagnarci

I dubbi sul provvedimento non mancano. Il gettito che verrebbe perso dalle casse dello Stato per il taglio dell’Iva sulle armi è quantificato dal Senato in circa 80 milioni d’euro. La cifra però potrebbe essere superiore e al risparmio per l’industria bellica si aggiunge l’aumento degli introiti per il commercio di armi. L’Italia è il terzo venditore di armi dell’Unione europea, come informa nella sua analisi Al Jazeera: il nostro Paese commercia il 3.1% delle armi nel mercato globale, preceduta in Europa da Francia (11%), Germania (4.5%) e seguita dalla Spagna (2.5%).

Un affare di Stato in tutti i sensi, dato che il Ministero dell’Economia possiede il 30,2% delle azioni di Leonardo, al 14esimo posto tra le maggiori aziende di armi al mondo secondo la classifica del Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma). I soldi che escono da una parte, insomma, rientrano dall’altra. Leonardo, insieme a Fincantieri, altra azienda made in Italy nella top 100 dei maggiori produttori di armi, ha visto le sue azioni salire alle stelle, un +28% dall’inizio del conflitto in Ucraina, secondo Il Sole 24 Ore e risulta oggi essere uno dei titoli a maggiore capitalizzazione.

Aumento delle spese militari: un affare europeo

La mossa, inoltre, fa interrogare su quale sia la direzione verso la quale si muove l’Italia a livello politico. Sicuramente si segue il flusso dei partner europei, che stanno aumentando sproporzionatamente i budget per la difesa, come dimostra la Germania, che ha promesso 100 miliardi di investimenti in un fondo speciale per le forze armate. La guerra in Ucraina sta spostando le priorità europee delineate dal dopo pandemia e messe nero su bianco nello sviluppo del Next Generation Eu.

La ripresa economica e sociale sembra essere stata posta in un angolo dagli eventi recenti, perdendo il sopravvento rispetto alla priorità di rafforzare militarmente l’Unione, che guarda con inquietudine a Est. Le capitali europee hanno aperto i rubinetti per l’invio di armi a Kiev pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina. Il 27 febbraio, Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, ha dichiarato lo stanziamento di 500 milioni di dollari dal European Peace Facility per inviare “le armi più importanti per andare in guerra“.

Import di armi in crescita in Europa: a venderle gli Stati Uniti

Molti di questi armamenti sono comprati dal partner principale dell’Unione europea, gli Stati Uniti, i quali sono i maggiori produttori di armi al mondo (39%). I Paesi europei hanno incrementato la spesa per gli F35 americani in grado di trasportare testate nucleari, mentre la Polonia ha deciso di dotarsi dei droni Reaper, che lo scorso anno l’Italia ha armato (prima erano usati per la ricognizione) al modico prezzo di 180 milioni di euro circa. Il continente da qualche anno sembra avviato a lasciarsi alle spalle i 70 anni di relativa pace, con l’importazione di armi in Europa che dal 2017 al 2021 è cresciuta del 13%. La guerra in Ucraina ha dato ulteriore spinta al riarmo, sulle cui ricadute non sarà mai troppo presto interrogarsi.

Ultimo Aggiornamento: 10/05/2022 15:48