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Gli italiani non vogliono più votare: poco rappresentati e disinnamorati della politica

Pubblicato: 14/11/2023 18:25

Il partito dell’astensione, con tutti i sondaggi alla mano, è di gran lunga il più forte in Italia con un sensibile incremento registrato nelle ultime settimane. Eppure quasi tutti i movimenti politici, così come l’informazione generalista, lo ignorano. Perché?
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Gli italiani non sono interessati a votare e neanche a fare politica

La materia è affascinante e spinosa allo stesso tempo. Come ha rilevato appena ieri il sondaggio politico sulle intenzioni di voto degli italiani, presentato al telegiornale de La7, c’è un 45% del campione di popolazione interpellata che dichiara di non volersi esprimere – nella migliore delle opzioni – o di non voler andare a votare. Un dato, quel 45%, in crescita di 4 punti percentuali rispetto alla settimana precedente. Detto che dei 12 partiti inseriti nel campione ben 7 non lo raggiungono nemmeno il 4%, risulta quanto mai interessante cercare di analizzare i risvolti di questo ulteriore allontanamento dalle scelte politiche. E, viene di conseguenza, dell’affievolirsi del principale strumento a disposizione dei cittadini per esercitare i propri diritti.

Come enfaticamente lo presenta Enrico Mentana a ogni lunedì durante il suo tg (“Ecco cosa accadrebbe in Italia se si votasse oggi”), il quadro sulle intenzioni di voto realizzato dalla Swg per La7 fotografa una situazione. Il sondaggio, come sottolinea la stessa disciplina scientifica, è infatti un metodo statistico di valutazione di una delle caratteristiche di una parte – una proporzione – di popolazione, ovvero il campione. Sono poi le analisi e i commenti degli “addetti ai lavori” a decretarne sempre più spesso efficiacia e influenza mediatica (e politica, ma questo viene di conseguenza). Che siano le effettive intenzioni di voto o i contraccolpi sul governo, per le sue scelte, poco importa ai fini dell’efficacia del messaggio. Nè viene evidenziato – Mentana non lo fatto ieri – che quasi un italiano su due non si esprime. Per lo stesso sondaggio, va ricordato che a marzo scorso l’astensionismo era al 36%, mentre al 18 luglio era già salito al 43.

Sondaggi, cosa rappresenta il campione di interviste

Detto che la Swg informa, come da normative di settore, che il campione di interviste si è avvalso di 1.200 risposte (a fronte di 4.608 contatti effettuati), la domanda è: astensionismo e indecisione della popolazione riguardo alla politica non vengono considerati come dovrebbero da quanti poi maneggiano la materia, perché non funzionali al messaggio mediatico che gli stessi attori in campo vogliono far passare?

Prendiamo ad esempio il “progressivo calo del consenso intorno all’operato dell’esecutivo Meloni”, rilevato dall’Ipsos di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera del 9 novembre scorso. Dai dati “dopo le ferie prevalgono le opinioni negative, che a inizio novembre si rafforzano, con quasi la metà degli italiani (49%) che boccia l’operato del governo, a fronte del 40% che invece esprime approvazione”. Anche per la presidente del Consiglio “crescono i giudizi negativi: troviamo un’approvazione del 41% e un dissenso che assomma al 48%. Con un indice di 46, in contrazione più netta rispetto a quello dell’esecutivo, con un calo di tre punti nell’ultimo mese”, dice Pagnoncelli. Ricordato che l’indice di astensionismo reale alle politiche del settembre 2022 è stato del 39%, per lo stesso sondaggio al 29 luglio scorso veniva rilevato al 42,5%. Ed è il caso di rilevare anche qui che Ipsos per lo scorso 9 novembre ha ottenuto circa 1.000 risposte dai 5.390 italiani interpellati.

Un caso da manuale di studio sulla materia è rappresentato dagli esiti delle recenti elezioni suppletive per il seggio al Senato del collegio Monza Brianza, del 23 ottobre scorso, in cui Adriano Galliani ha conquistato il posto che fu di Silvio Berlusconi. Ebbene, qui il dato finale dell’affluenza si è arenato al 19,23 per cento (su una base elettorale di 702.008 aventi diritto), contro il 71,05% rispetto al 25 settembre 2022 delle politiche. Parlare di crollo appare un eufemismo.

Il tentativo di elaborare, molto rozzamente, questo fenomeno non può non evidenziare che attraverso i sondaggi, che raccolgono le informazioni, lo strumento della statistica ci porta alla conoscenza. Come? Studiando appunto i fenomeni collettivi. Attenzione: uno dei cardini della statistica è che questa non dice mai che un’affermazione è vera o falsa, ma che è vera o falsa con una determinata probabilità. Perché i dati sono sempre più abbondanti e pervasivi nella nostra società e, di conseguenza, la capacità di trattarli e analizzarli, di darne un significato, diventa sempre più rilevante. Perché, e il quesito torna a riproporsi, allora i partiti non affrontano le tematiche dell’astensionismo e di quello che dovrebbe essere riconosciuto come un tarlo della democrazia?

Italiani disinteressati al voto, le due possibili motivazioni

Ipotizziamo, perché come le elezioni recenti insegnano, è più semplice – e meno dispendioso intellettualmente – parlare di aspetti che i cittadini del tuo stesso orientamento vogliono ascoltare. Molto più complesso, e meno redditizio in termini di consenso, è tentare di convincere chi non la pensa come il “suo” leader a cambiare opinione, e quindi a dove apporre la croce sulla scheda elettorale. Che è esattamente quello che rappresenterebbe i crismi di una campagna elettorale. Mentre sul perché l’argomento “non sa/non si esprime” non entra nei tanti talk show che riempiono i canali tv e sat, la spiegazione potrebbe essere semplice: non c’è un rappresentante del partito dell’astensionismo da contrapporre a uno di altri schieramenti definiti (centro-destra o centro-sinistra) per poter accendere la discussione e fa salire lo share.

Ma tutto questo, in fondo, quanto interessa agli italiani? Sembra molto poco, anche se è altrettanto preoccupante secondo due chiavi di lettura. La migliore è che l’astensionismo sia il percorso obbligato di quanti, sempre di più, non trovano rappresentanza delle proprie idee e orientamenti politici nel parterre offerto dagli attuali partiti che si presentano alla urne. La peggiore, ed è quella che appare in netta crescita, troverebbe radici tra quanti non esprimono più alcuna scelta perché disamorati dalla politica e dall’istituto della rappresentanza (“Tanto sono tutti uguali, non cambierà mai niente”). Argomento vitale per alimentare populismo e crisi della democrazia.