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Vittorio Emanuele Parsi racconta l’esperienza pre morte: “Mi ha salvato il suo viso”. Grande amore

Pubblicato: 16/02/2024 08:42
Parsi esperienza pre morte

Vittorio Emanuele Parsi ha accusato un fortissimo dolore al petto mentre si trovava sul palco di un evento a Cortina il 27 dicembre scorso. Fortunatamente i medici gli hanno salvato la vita con una operazione molto complicata dopo la quale è rimasto in coma per giorni. Oggi il professore sta meglio e, intervistato dal Corriere della Sera, racconta la sua esperienza pre morte.
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L’intervista di Vittorio Emanuela Parsi al Corriere

Vittorio Emanuele Parsi confessa al Corriere di ritenersi un sopravvissuto e di essere vivo “grazie al volto di Tiziana” (Panella, giornalista di La7 che conduce Tagadà e sua compagna di vita da due anni, ndr). “Ho sentito tre colpi sul diaframma, come fossi in apnea. – racconta il professore – Da sommozzatore sai che quando li senti devi riemergere, è l’ultimo avvertimento. Ho capito che c’era qualcosa di grave. Finita la conferenza, ho chiesto che si chiamasse un medico. È arrivata l’ambulanza, siamo andati all’ospedale Codivilla”.

“La mia era una dissezione dell’aorta. – prosegue Parsi – Lui (il primario di cardiologia dell’ospedale di Belluno Alessandro Di Leo, ndr) mi ha detto due cose che ricorderò sempre. La prima: dobbiamo farle un’operazione salvavita. La seconda: può andare male. Ricordo tutto il periodo in coma. Uno Stige, un fiume melmoso, nero, che stava sotto i miei piedi, come Ulisse e Achille. Ricordo di avere visto le radici degli alberi da sotto, come fossi in un crepaccio. E di tanto in tanto, voci lontane”.

L’amore per Tiziana Panella

Ho visto il volto di Tiziana (Panella), potevo rivederlo. – è il racconto incredibile di Vittorio Emanuele Parsi – Ho parlato con mia madre e con mio padre, che non ci sono più: ‘Datemi una mano voi, non è il momento di raggiungervi’. È stato allora che ho materializzato nella mente quegli omini di gomma che vendevano nei ruggenti anni’70 e ’80, che si lanciavano sul vetro e si appiccicavano e salivano e scendevano… Ecco, ho visto me stesso un po’ come uno di quegli omini, a risalire l’immenso crepaccio, con tutta la fatica del mondo. E quando poi sono arrivato in cima ho aperto gli occhi. E ho visto Tiziana che era lì con me. Penso fosse l’Ade, il fiume delle anime morte”.

“Non ho visto nessuna luce, nessuna speranza che non fosse quella di lottare per vivere. Forse quando si muore la sensazione è quella di un abbraccio. La morte la viviamo come spaventosa, io non ne ho mai avuto grande simpatia, non nutro aspettative su quello che verrà dopo. Però la cosa che mi ha sorpreso è che non provavo paura. Il risveglio è stato terribile. Sentivo i medici che dicevano: ‘Lo estubiamo domani, lo estubiamo oggi…’. Avrei voluto che lo facessero subito. Ho cercato di strapparmi tutto, hanno dovuto legarmi al letto. Nelle ore finali, intubato, guardavo l’orologio, vedevo passare i quarti d’ora uno per uno. Uno strazio. Quando mi hanno tolto i tubi è stato come rinascere. Avevo una sete tremenda: gli addetti della rianimazione usavano un bellissimo lavabo d’acciaio con una profusione d’acqua e mi dicevo: tra poco mi attacco sotto alla manichetta, mi dovranno portare via. Invece mi strozzavo anche solo con un cucchiaino”, conclude.
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