Inutile prendersela con l’inflazione o con qualche strana fatalità. Anche depurando il reddito reale lordo delle famiglie dalle dinamiche inflattive per confrontarlo con quelle degli altri Paesi, l’Italia risulta essere al penultimo posto in Europa. Secondo Eurostat, fra il 2008 e il 2023 il reddito è sceso del -6,26%, contro il +12,59% della Germania. Solo la Grecia ha fatto peggio, con un crollo del -20%. In parole povere, come spiega Valentina Conte su Repubblica, “in 15 anni una famiglia italiana ha bruciato quasi un quinto del suo reddito rispetto a una tedesca”. Se aggiungiamo che il costo della vita è aumentato in modo esponenziale, questo significa che il potere d’acquisto degli italiani si è ridotto in modo impressionante. Emerge in tutta la sua evidenza la dicotomia che esiste fra alcuni dati economici generali e la realtà che le persone devono affrontare ogni giorno. Perché se è vero che il nostro Pil è aumentato dello 0,2% nell’ultimo trimestre, mentre quello della Germania è calato dello 0,1 nello stesso periodo, i dati pubblicati da Eurostat frenano l’entusiasmo. E non per colpa di Giorgia Meloni e del suo governo, perché i numeri di Eurostat riflettono una tendenza che prosegue da anni. Inutile farne una questione di risse politiche.
Mentre i nostri redditi diminuivano, la media europea segnava un +11%. La Francia si attestava su un +8,75% e la Spagna, pur registrando un calo del -4,15%, faceva comunque meglio di noi. Ovviamente, al calo dei redditi corrisponde anche un maggior peso dell’inflazione. Gli italiani guadagnano meno di prima, e l’aumento dei prezzi si riflette in modo molto pesante sul loro stile di vita e sui loro risparmi. Il fatto che l’Italia in molte voci abbia registrato miglioramenti, anche importanti, non cambia la realtà: i nostri dati sono fra i peggiori d’Europa. Il nostro tasso di occupazione, sia pure risalito al 66,3%. nonostante i recenti dati positivi rimane il peggiore d’Europa, dove la media è del 75,3%. Anche il tasso di disoccupazione nel nostro Paese (7,7%) è peggiore della media europea (6,1%). Il dato sui Net, i giovani che non studiano e non lavorano, è sceso al 16,1% in Italia, contro l’11,2% della media europea. Per citare un altro dato, chi afferma che la crisi del lavoro italiana è causata dai “troppi laureati” sbaglia e anche di grosso: da noi il tasso dei laureati è al 29,2%, la media europea è al 43,9%.
Il governo Meloni può essere parzialmente soddisfatto dei miglioramenti ottenuti. E sembrano fuori luogo le accuse che arrivano da chi, nei decenni precedenti, ha fatto meno e peggio. I governi tecnici, le politiche di austerity, tutto quello che gli italiani hanno dovuto subire in questi anni hanno lasciato un Paese stremato. In cui il popolo di risparmiatori è stato alleggerito di parte delle proprie ricchezze, senza beneficiare di un miglioramento dal punto di vista dei redditi. Si tratta di una livella che parte dal basso e mette in crisi le persone meno abbienti ma anche la piccola e media borghesia, la classe sociale che da sempre ha rappresentato un traino per la nostra economia. Rimettere a posto la situazione non sarà semplice per nessuno. Interrogarsi sulle dinamiche che ci hanno portati da essere la quarta potenza industriale del mondo all’attuale condizione, però, è indispensabile per capire in che modo potremo uscire da questa morsa.