
Una tragedia familiare si è consumata nella serata del 3 maggio a Caleppio di Settala, alle porte di Milano, dove una donna di 43 anni è stata brutalmente uccisa dal marito. A dare l’allarme è stata la figlia di dieci anni, unica testimone dell’omicidio. «Papà ha ucciso la mamma», ha detto con voce tremante al telefono, riuscendo a fornire ai soccorritori l’indirizzo dell’abitazione.
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Quando i carabinieri sono giunti sul posto, per Amina, la vittima, non c’era più nulla da fare. Il suo corpo senza vita giaceva nella camera da letto, colpito da una dozzina di coltellate inferte con un coltello da cucina. Sul luogo del delitto era ancora presente il marito, Khalid, 50 anni, in evidente stato confusionale e visibilmente ubriaco. Avrebbe pregato in ginocchio davanti al cadavere della moglie prima di seguire la figlia verso l’ingresso del palazzo, dove è stato fermato dai militari.
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La ricostruzione del delitto
Secondo la prima ricostruzione degli inquirenti, il femminicidio sarebbe avvenuto poco dopo le 21.30, al termine della cena. La figlia della coppia avrebbe assistito all’intera scena, rimanendo bloccata dal terrore per ore prima di riuscire a comporre il numero d’emergenza. Dopo la telefonata, la bambina è fuggita dall’appartamento, inseguita dal padre in stato di semi-incoscienza. I carabinieri l’hanno trovata all’ingresso del palazzo e l’hanno subito portata in salvo.
L’uomo, arrestato con l’accusa di omicidio aggravato, è stato trasferito nel carcere di San Vittore. Ai militari avrebbe ripetuto più volte: «L’ho ammazzata, l’ho ammazzata». Il pubblico ministero Antonio Pansa ha disposto il sequestro dell’abitazione, dell’arma del delitto e del cellulare dell’indagato.
La bambina è stata affidata a uno zio materno, nell’ambito del protocollo di protezione previsto in questi casi. Verrà ascoltata nei prossimi giorni con modalità protetta, alla presenza di una psicologa.
Un passato segnato dalla violenza
Non era la prima volta che Amina denunciava il marito. Tre anni fa, aveva sporto denuncia per maltrattamenti, facendo scattare il “codice rosso”. Tuttavia, all’epoca non furono adottate misure cautelari. Secondo quanto riferito dai vicini, Khalid era noto per i suoi comportamenti violenti e l’abuso di alcol.
«Si ubriacava spesso e lanciava oggetti dalla finestra», ha raccontato una vicina di origine marocchina. «Ogni volta arrivavano i carabinieri, ma poi tutto tornava come prima». Un altro residente ha ricordato come gli episodi si siano intensificati negli ultimi due anni, dopo il ritorno di Amina e della figlia da un viaggio in Marocco. «Lui era stato allontanato per un periodo, ma poi è tornato. Lei forse aveva paura di peggiorare la situazione», ha ipotizzato.
Tra i testimoni, anche Emanuela Collini, vicina di casa della coppia, che ha riferito di aver subito intimidazioni da parte dell’uomo. «Una volta si è tagliato i piedi e ha imbrattato la mia porta con il sangue. Mi ha sempre presa di mira, forse perché vivo da sola. Solo ieri ha bussato violentemente alla mia porta dopo aver colpito il muro che divide i nostri appartamenti».

Servizi sociali coinvolti, ma l’intervento non è bastato
Il sindaco di Settala, Massimo Giordano, ha confermato che la famiglia era seguita da tempo dai servizi sociali del Comune. «Erano allertati – ha dichiarato – e tutto ciò che era nelle possibilità dell’amministrazione è stato fatto, secondo le procedure».
Nonostante gli interventi precedenti e le segnalazioni, nessuna misura è riuscita a impedire l’epilogo drammatico. Un femminicidio consumato tra le mura domestiche, sotto gli occhi di una bambina, in un contesto segnato da violenza, denunce inascoltate e assenza di protezione concreta.
Il caso di Amina riaccende i riflettori sulla necessità di strumenti efficaci per prevenire la violenza di genere, tutelare le vittime e intervenire in tempo utile. Ancora una volta, le misure esistenti si sono rivelate insufficienti.