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Affluenza in calo, il referendum si avvia verso il flop: “Sotto il 30% sarebbe un dato storicamente basso”

Pubblicato: 09/06/2025 14:17

Il dato è ancora parziale, ma il quadro sembra ormai definito. Con un’affluenza ferma al 22% nella giornata di domenica, il referendum su lavoro e cittadinanza rischia di collocarsi tra quelli con la partecipazione più bassa della storia repubblicana. A farlo notare è Lorenzo Pregliasco, fondatore di YouTrend, che parla apertamente di “fallimento non solo del quorum, ma anche della mobilitazione”.

Il confronto con il passato è impietoso. “Nel 2016, con il referendum sulle trivelle, senza grandi strutture organizzative, si superò comunque il 31% di partecipazione”, ricorda Pregliasco. “In quel caso mancava un fronte politico coeso, mentre oggi si sono spesi apertamente Pd, M5S, Avs, +Europa e Cgil. Se non ci fosse stato il sindacato, dove saremmo arrivati?”.

L’ombra lunga del quorum e il peso della disillusione

In effetti, la partecipazione ha superato – seppur di poco – quella del 2022, quando i quesiti sulla giustizia promossero alle urne appena il 21% degli elettori. Ma per Pregliasco non è motivo di sollievo: “In quel caso c’erano solo Lega e Radicali a sostegno. Oggi il bacino potenziale era molto più ampio. Si è mobilitata solo una fetta di elettorato già motivata, ma è mancata una vera capacità di allargare”.

La soglia del 35%, secondo l’analista, rappresenterebbe un risultato almeno “dignitoso”, ma appare ormai difficile da raggiungere. Il problema, però, sembra più profondo e strutturale: “Lo strumento referendario è nato in un contesto in cui votava il 90% degli italiani. Oggi, anche alle Politiche, siamo fermi al 64%. È un meccanismo che va ripensato, anche nella raccolta firme, che andrebbe resa più selettiva”.

La crisi del formato e la scelta sbagliata della battaglia

Oltre al tema della partecipazione, Pregliasco individua un nodo nella struttura dei quesiti. “Oggi si tende a frammentare, con domande tecniche e parziali che faticano a suscitare coinvolgimento. Dopo i grandi referendum sul divorzio nel ’74, sull’aborto nell’81 e sull’acqua pubblica nel 2011, il quorum non è stato più raggiunto. Anche per questo”.

A criticare l’approccio comunicativo è invece Antonio Noto, direttore di Noto Sondaggi, che punta il dito sulla strategia dei promotori: “Si è impostata una campagna contro la destra che invitava all’astensione, senza però puntare sui contenuti. Così sono andati a votare solo i già convinti”.

Per Noto non è lo strumento in sé ad essere abusato, ma il modo in cui viene utilizzato: “Il referendum resta un’arma potente, ma è usata male. Il vero problema è che il ceto politico non è in grado di valorizzarla. Così la comunicazione fallisce e i cittadini restano confusi e disinteressati”.

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