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I lapsus di Giuseppe Conte

Pubblicato: 16/10/2020 08:57

Facciamo un gioco: immaginiamo di voler imparare a comunicare le nostre idee in modo efficace e di voler promuovere nelle persone che ci ascoltano comportamenti sani e virtuosi e, perché no, anche un pizzico di serenità e buonumore, che oggi soprattutto possono far bene.

Per poterci esercitare nell’uso virtuoso del linguaggio possiamo prendere in considerazione un modello eccellente per imparare come si fa, oppure un modello pessimo, per scoprire che cosa, invece, non si fa e non si deve mai fare.

Iniziamo da un modello pessimo, il nostro Presidente del Consiglio Conte che, quando si tratta di fare annunci importanti, dà il meglio di sé.

Fede, speranza e nessuna leadership

Pescando fra le sue varie mirabolanti dichiarazioni, possiamo trovare perle come “non cadremo nel baratro”, usata per tranquillizzare gli italiani in pieno lockdown, la sempre magnifica “il governo non lavora con il favore delle tenebre”, la deliziosa “meno libertà per tutelare la salute” e la straordinaria e recentissima “non manderemo la polizia a casa”, frase che segue le dichiarazioni di un altro eccellente oratore, il ministro Speranza, che, da un punto di vista esclusivamente linguistico, pare essere guidato, nelle sue strategie politiche, proprio da quel sentimento che si porta appresso come cognome: confidava nella responsabilità dei giovani prima, spera che gli italiani si regolino con le feste in casa adesso.

Senza occuparci delle scelte di merito, notiamo solo che nei momenti di grandissima confusione come quello attuale e nei momenti in cui fra la gente serpeggia la paura, quel di cui abbiamo bisogno sono indicazioni chiare e precise, autorevoli, che dimostrino idee altrettanto chiare e precise.

Come ci si può fidare di un leader che si rimette alla coscienza delle persone che deve guidare? In inglese si parla, a proposito del linguaggio che rassicura e che ispira fiducia, del “commander’s intent”, l’intento del comandante.

Immaginatevi, visto che stiamo facendo questo gioco, che il vostro generale, in piena battaglia, vi dica “speriamo che i nostri soldati facciano il loro dovere. E speriamo che il nemico si prenda le proprie responsabilità. Speriamo che tutto vada bene”. Che cosa pensereste di un generale che parlasse in questo modo?

Nei momenti in cui le persone hanno bisogno di regole certe e guide sicure, “speriamo” è il peggior verbo che si possa utilizzare. Quindi, poiché abbiamo la straordinaria opportunità di avere modelli di così infima qualità (linguistica), cogliamo l’occasione per imparare tutto quel che non si deve fare. Mai. E torniamo a Conte e alle sue negazioni.

Quello che neghi, dici

Ormai lo sapete: negare un frame lo rinforza, come ripete da sempre il bravo George Lakoff e come dicono tutti coloro che sanno come funzionano parole e cervello.

La negazione è un atto essenzialmente linguistico, che interviene dopo che il cervello ha elaborato il concetto e che ci interessa qui da almeno un paio di punti di vista diversi.

Il primo è l’effetto che la negazione ha sul cervello umano. Se io scrivo “non preoccupatevi”, voi leggete la parola “preoccupatevi”, il cervello elabora rapidamente il contenuto di questa parola e va a pescare tutte le idee che sono collegate a questo concetto (si chiamano “nodi” semantici e sono come le ciliegie, un’idea tira l’altra). Quindi, il Conte che ci dice “non cadremo nel baratro”, “non lavoriamo con il favore delle tenebre”, “non vi mandiamo la polizia a casa” ci mette in testa idee come “cadere”, “baratro”, “tenebre”, “polizia”.

Insomma, non ci vuole uno scienziato del linguaggio per rendersi conto che parlare in questo modo produce risultati del tutto controproducenti rispetto agli obiettivi dichiarati, che sono quelli di spiegare con calma agli italiani le idee del Governo e di far stare tutti tranquilli. Certo, se la strategia fosse quella di terrorizzare le persone per poi poterne controllare meglio i comportamenti, quel linguaggio sarebbe perfetto, ma evitiamo dietrologia e cospirazionismi vari e fidiamoci di quel che ci dice Conte.

Speriamo, qui ci sta, che i suoi siano solo scivoloni linguistici espressione di una oggettiva incapacità di esprimersi in modo corretto e non lapsus linguistici.

E qui arriviamo al secondo punto interessante. Ovvero: secondo le regole tipiche codificate dalla psicolinguistica, noi diciamo quel che abbiamo in testa, più o meno consciamente. Si parla di economia cognitiva: andiamo a pescare nel mare del nostro cervello i pesci che nuotano più in superficie. È un po’ come quando qualcuno esordisce con “non è una critica ma…” e voi sapete che la critica sta per arrivare, oppure “non per far polemica ma…”  e voi sapete che in realtà il vostro interlocutore la polemica la vuole fare, eccome. Se io, nel mio cervello, non ho l’idea (il frame) della “polemica”, non sentirò il bisogno di dire che “non la voglio fare”. Non la farò e basta, proprio perché non ce l’ho in mente. Vien quindi da chiedersi come mai Conte senta il bisogno di dirci tutte quelle brutte cose, visto che – dichiara – proprio non ci pensa. Eh no, mio caro: se le dici, vuol dire che ci hai pensato. 

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Possiamo fare meglio

In ogni caso, noi possiamo fare meglio di così, perciò esercitiamoci tutti insieme e vediamo come avremmo potuto esprimere gli stessi concetti espressi dal premier in modo linguisticamente intelligente. “Non cadremo nel baratro” potrebbe diventare “usciremo velocemente e a testa alta da questa situazione”. Che ne dite, che effetto vi fanno le due frasi?

Volendo rasserenare una popolazione impaurita, quale funziona meglio secondo voi? (la domanda è retorica: funziona meglio la seconda, ovviamente).

”Il governo non lavora con il favore delle tenebre” potrebbe diventare “il governo lavora alla luce del sole”, che suona decisamente meglio e che produce immagini solari invece di immagini crepuscolari.

“Non manderemo la polizia a casa” diventa… ecco, questo è complicato. Giusto per sfizio, potremmo pensare a cose del tipo “lavoreremo al fianco delle forze dell’ordine per garantire a tutti sicurezza e serenità”, oppure “costruiremo con i cittadini un dialogo serio e costruttivo, basato su fiducia, credibilità e professionalità, per ottenere il massimo risultato in un momento così delicato”.

Quest’ultima frase, mi rendo conto, è troppo, soprattutto perché contiene il termine “professionalità” che, ascoltando il modo in cui parlano i nostri politici (ho citato in un altro articolo gli “amici pelosi” di Salvini, giusto per essere bipartisan), è davvero fuori luogo.

Ma rilancio: se io scrivessi, adesso, “non dico che Conte sia in malafede” oppure “non voglio dire che Conte sia davvero pessimo nella sua comunicazione”, voi che cosa pensereste? 

Dizionario di Borzacchiello

(a cura dell’autore)

FRAME: letteralmente “cornice”; può essere inteso come insieme di idee che incorniciano la realtà, oppure modo di presentare le informazioni. Preferisci un formaggio magro al 95% o un formaggio con il 5% di grassi? Questo è un frame.