In Italia non si fanno figli. E a dirlo non è una verbosa propaganda politica o un polveroso discorso di stampo religioso. Sono i numeri. Il numero medio di figli per donna, che negli anni ’60 era di 2,70 (1964), è sceso a 1,20 nel 2023, con differenze territoriali minime tra Nord, Centro e Sud Italia. Fino a trent’anni fa, la fecondità nel Sud era molto più alta rispetto al resto del Paese, ma questa differenza si è oramai appianata. Oltre agli aspetti economico-sociali, come stipendi bassi e mancanza di supporto per le famiglie, anche le crescenti difficoltà di concepimento influenzano la denatalità. Il 15% delle coppie in Italia è considerato infertile, e questa condizione può derivare sia da problemi maschili che femminili.
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Professor Pasquale Bilotta, direttore del Centro Fecondazione Assistita Alma Res di Roma in tal proposito dichiara: “Generalmente si parla di infertilità di coppia in caso di mancato raggiungimento della gravidanza dopo un anno di rapporti sessuali regolari e non protetti. Tra le cause primarie vi è senz’altro il fattore età – dai 40 anni in poi la percentuale di fertilità media è il 20% rispetto a quella riscontrata a 25 anni – ma anche abitudini non sane, come fumo, consumo di alcol oppure condizioni psicologiche limitanti, quali ansia e stress da ritmi di vita/lavoro troppo frenetici. Spesso, comunque, parliamo di patologie prevenibili facilmente curabili, per questo è molto importante una corretta informazione”.
In risposta a queste difficoltà, la procreazione medica assistita (PMA) è una risorsa sempre più utilizzata. Nel 2021, oltre 86.000 donne italiane hanno intrapreso trattamenti di PMA, con un tasso di successo che varia in base all’età: il 40% per le donne sotto i 35 anni e solo il 15% per quelle sopra i 40. Tuttavia, l’accesso ai trattamenti tramite il Servizio Sanitario Nazionale è ancora limitato e disomogeneo tra le regioni, con lunghe liste d’attesa e costi elevati in alcune aree.
“Nel Lazio, per esempio – dichiara il prof. Bilotta – le coppie che decidono di ricorrere alla fecondazione assistita tramite SSN si recano in altre regioni. Le motivazioni sono legate alla scarsa offerta pubblica o convenzionata nel territorio regionale, lunghe liste d’attesa e costi elevati. Con altri 21 Centri autorizzati privati, stiamo costituendo un Coordinamento a livello regionale: auspichiamo la creazione di una Rete di centri pubblici e privati, disponibile a erogare prestazioni in convenzione con il Servizio sanitario nazionale, in modo da aumentare l’offerta e garantire alle coppie un maggiore accesso ai trattamenti di fecondazione assistita”.
La necessità di una rete nazionale di centri pubblici e privati convenzionati con il SSN è cruciale per migliorare l’accesso alla fecondazione assistita e fornire un sostegno equo alle coppie in difficoltà.